… un filo alla volta. Per ricucire, per creare, per meditare.
Questa è la mia nuova passione. Non dico l’ultima, perché nel frattempo so che ne sto già covando di nuove. Ma ora è questo che faccio, a casa, nei momenti di silenzio. Prendo ago e filo, nero. Una tela. La mia preferita è un banale cencio della nonna. E ci cucio disegni e parole che parlano di me.
E’ iniziato tutto in lock down, ma in realtà è iniziato anni fa, al Teatro Biblioteca Quarticciolo, quando grazie a Barbara della Polla ho conosciuto Maria Lai, artista sarda con una grande sensibilità, che creava arte con quanto trovava, fili e tessuti in particolare. A gennaio di quest’anno sono andata a vedere una mostra dedicata a lei. Il cuore mi esplodeva.
NON IMPORTA SE NON CAPISCI, SEGUI IL RITMO (Maria Lai)
Sono parole che mi rimbombano in testa ogni giorno, ogni volta che non capisco cosa sta succedendo. Vado avanti, seguo il ritmo. Così ho fatto a marzo: chiusa in casa, ho preso ago e filo per cucire un buco nella tasca della giacca. E poi tutto è proseguito in modo naturale: ho preso una borsa di tela, l’ho tagliata e ho c’ho scritto la poesia di Mariangela Gualetieri, “Nove Marzo Duemilaventi” e ho ricucito le parole. In questi mesi ho cucito cuori, con frasi di poesie, ispirate dalle persone che amo. Ma in realtà, stavo ricucendo il mio di cuore. E lo faccio ogni giorno. Lentamente. Un passo alla volta.
PRENDI IL TUO CUORE SPEZZATO E FANNE UN ARTE (Carrie Fisher)
Nel mio ultimo articolo parlavo di “cicatrici”. Nel confronto con alcune lettrici (oddio, che emozione sapere che qualcuno legge queste mie righe!) ci siamo chieste che cosa sono queste cicatrici: segno del male che abbiamo subito, o di quello che abbiamo arrecato noi?
Vittime e carnefici.
Io so di aver fatto del male, e so di averne subito tanto. Ma riconosco che spesso è stato frutto della fragilità. Ho chiesto scusa a chi ho ferito e ho cercato di regalare il perdono a chi mi ha fatto del male. Sono andata avanti, sto andando avanti. Ora cerco di essere più delicata. Verso gli altri e verso me stessa.
La maggior parte delle volte è delusione. Delusione per le aspettative infrante e i sogni disillusi. Perché ad ogni incontro, ad ogni lavoro, ad ogni viaggio, ci aspettiamo che tutto vada come vorremmo noi. Allora cucio. Cucio il mio cuore. Cucio insieme i miei pensieri. Cerco il filo della matassa. Questo blog è nato proprio per dire ad alta voce, e a me stessa, che va bene così. Va bene uscire da sola. Va bene essere forte e pensare a me stessa. Va bene se in alcuni momenti ci sentiamo a pezzi. Non è nostra la responsabilità delle cose ci accadono, ma è nostra la responsabilità di come reagiamo. Continuare ad essere “vittime” non ci farà guarire.
Io reagisco così ai momenti di solitudine. Sorridendo. A prescindere, sorrido. E ora cucio. Ogni punto è un passo nel vuoto. Hai un disegno da seguire, ma devi concentrarti per andare nel verso giusto. Per quanti progetti fai prima, disegni, bozzetti, il risultato finale è un mistero. Se cambi filo, stoffa, è come ricominciare ogni volta d’accapo. Eppure il finale è sorprendente!
Ho tre spiriti guida: Maria Lai, Mariangela Gualtieri e Chandra Livia Candiani. Oggi Penelope vuole salutarvi con una poesia di quest’ultima:
Dove ti sei perduta da quale dove non torni, assediata bruci senza origine. Questo fuoco deve trovare le sue parole pronunciare condizioni di smarrimento dire: “Sei l’unica me che ho torna a casa”
L’importante è fare il primo passo, mettere il primo punto. Soprattutto in questo periodo di grande incertezza, in cui nulla dipende da noi. Seguiamo il ritmo…
A un passo da un nuovo possibile lock down, dopo un’estate a correre incontro alla vita, nei luoghi del cuore, a cercare le mie persone, quelle che amo e stimo, che in quarantena mi hanno (spesso inconsapevolmente) dato un motivo per non mollare, provo a progettare il futuro. Sono in uno dei tanti momenti di confusione, in cui mi chiedo cosa voglio, chi sono… mi domando da dove ricominciare. Per farlo mi guardo indietro, perchè è importante, per ri-esistere, ricordare da dove si viene.
E nel guardare il mio percorso mi viene naturale ricordare e festeggiare le vittorie e gli obiettivi raggiunti. E i fallimenti? quanto ho imparato da loro? Mi sorprendo a scoprire che nella fragilità della sconfitta mi sono sempre rialzata e mi sono scoperta più forte, riprendendo il percorso con più forza e volontà.
Perché, allora, appendiamo solo le lauree e le foto dei bei momenti ma non celebriamo anche quei fallimenti che ci hanno aiutati a scoprire veramente chi siamo?
Nel fallimento troppo spesso siamo soli. Non si esce a festeggiare… non si condivide volentieri un errore. Nella solitudine, però, ci si può mettere in ascolto, fermarsi per fare bilanci e chiedersi se poi, in fondo, non sia stato un bene non ottenere quello che tanto si desiderava. Poi rialzarsi e ripartire, aggrappati ai propri valori e sogni.
Ecco: io sento di essere esattamente dove volevo essere. Sembra assurdo, ma in questo momento difficile sono il frutto di tutti i desideri espressi. A questo punto, ironicamente, mi verrebbe da dire che non sono brava ad esprimere i desideri! Oppure semplicemente…. che non siamo noi a decidere nulla. Ci viene naturale imputare alla sfortuna degli accadimenti imprevisti che vanno contro i nostri piani, ma in realtà è solo la vita!
Rifletto sul “fallimento”.
“fallire” Non giungere a realizzazione o a compimento. Non riuscire nel proprio intento, non raggiungere lo scopo desiderato.
In una società performativa come la nostra, il fallimento non è mai contemplato. E’ una vergogna da nascondere. Piango ogni volta che leggo di persone che addirittura si tolgono la vita perché “hanno fallito”.
Io voglio portare con fierezza le mie cicatrici. Arrendermi all’inevitabilità che anche il peggio può accadere. Voglio piangere quando sbaglio, fermarmi per un pò. Sciogliere i legami e le promesse del “per sempre” che faccio ogni volta con i progetti che intraprendo. E poi godere la serenità dell’andare avanti senza nessuna meta, finché non arriva la nuova idea, i nuovi occhi che ti rapiscono, il nuovo battito di cuore. A volte fa più male, a volte meno.
Guardare in faccia il mondo e dire: “sì, ho sbagliato, ho fallito… e allora?”
Nell’arco del miei 20+20 anni di fallimenti ne ho avuti tanti. Sono un fallimento vivente se paragono il mio presente ai progetti che avevo fatto tanto tempo fa. Se mi paragono alla donna che “sarei dovuta essere” per la società.
Eppure, mi guardo allo specchio e non ho mai avuto uno sguardo più sereno! E serenamente vado incontro a un futuro incerto. Perché in quella incertezza ci vedo una possibilità: la possibilità di essere felice.
Mi rendo conto, infine, di provare più stima per chi è riuscito a rialzarsi dopo una caduta. La bellezza e la luce che brilla negli occhi di chi ha avuto la forza di tirarsi indietro, di mollare, lasciare la presa. E’ la stessa che vorrei vedere sempre brillare nei miei occhi.
“Chi è in grado di distinguere quando è il momento di dare battaglia e quando non lo è riuscirà vittorioso”, dice Sun Tzu ne “L’Arte della Guerra”. Anche accettare il fallimento e abbandonare il campo con orgoglio è una vittoria. Andarsene, mollare la presa, e proseguire, più leggeri, certo frastornati, ma sani e salvi.
Quanti progetti avviati che sono naufragati. Storie d’amore finite. Amicizie che ci hanno traditi. Lavori persi (!!). Per me il vero fallimento è non provare. E’ farsi prendere dal panico e dalla paura. Se è solo la vittoria che ci interessa, allora fa paura iniziare. Se invece è il percorso… allora avremo comunque vinto.
Spesso proviamo invidia per quelle persone che si mostrano vincenti. Ma che senso ha nascondere la propria fragilità? Chi è sempre felice, per me, è un imbroglione. Chi è frutto del proprio percorso di vita, che inevitabilmente conta anche delle sconfitte, è veramente forte.
Ciao, sono Stefania. Ho 20+20 anni, ho fatto tanti sbagli e ho fallito su tanti fronti. Eppure sono felice e fiera di me. Eppure ancora ci credo che il futuro può essere migliore. Affronto il presente aspettandomi il peggio e sperando per il meglio, cercando il lato positivo. Non mi vergogno di piangere e non mi vergogno di ridere. Sono grata a tutti gli incontri fortunati e a quelli sfortunati, perchè grazie a loro ho imparato tanto. E ora scusate… ma devo rincorrere la mia felicità.
E voi? che rapporto avete con i vostri fallimenti?
Sono passati quasi quattro mesi da quel Nove Marzo 2020 che mai dimenticheremo, quando ci siamo chiusi in casa, tutti, per proteggerci da un virus invisibile (e che ancora, tra l’altro, c’è…)
Bastano quattro mesi per apportare dei cambiamenti nella propria vita?
Empiricamente, dico di si. Se mi guardo intorno e se mi guardo dentro, tanto è cambiato di noi in quel tempo sospeso.
In realtà il mondo sembra aver ripreso i suoi ritmi come se nulla fosse accaduto. Ma quando sento dire che “non è cambiato nulla” capisco che chi lo sta dicendo è una persona che non si vuole prendere la responsabilità di essere lui per primo diverso, sempre in attesa che siano gli altri a fare e lui ad adattarsi.
Abbiamo attraversato tre fasi, ma in realtà ne abbiamo vissute mille. E tanta forza abbiamo scoperto di avere, perché è vero, a volte “bisogna farsi crescere le ali durante la caduta“, senza preavviso. Con quello che abbiamo.
Durante il lock down abbiamo avuto, tra le tante, una grande perdita, quella di Ezio Bosso. Un essere umano incredibile! Un esempio di vita, e poi… ecco un’altro terribile incidente, quello di Alex Zanardi. Ho un nodo in gola da quando è accaduto. Perché il suo esempio mi ha cambiato la vita anni fa, letteralmente, quando sentendolo raccontare come ha reagito al primo incidente in cui ha perso le gambe ho deciso finalmente di affrontare un mio problema a lungo trascinato. E in attesa che si riprenda anche questa volta, perché non posso credere che non succederà, sento che sta a me, a noi, essere i nuovi testimoni della ri-esistenza. Perché abbiamo bisogno di esempi, di esseri umani forti nella loro fragilità che ci mostrano come si vive da super uomini.
“Quando mi sono risvegliato senza gambe ho guardato la metà che era rimasta, non la metà che era andata persa.”
Parlando di me. La mia ri-esistenza, auspicata nel mio ultimo post, è veramente iniziata. La forza di “ri-agire” per re-agire che mi ha tenuta viva in questi mesi è nata anni fa, proprio stimolata, come dicevo, dall’esempio di Zanardi. Ma anche da mia madre e da tutte quelle persone che non si sono mai arrese. Ora sta a me, a noi, andare avanti con la metà che ci è rimasta, senza vittimismo, senza attendere che sia il mondo a cambiare, diventare noi il cambiamento necessario.
Non voglio dire che non ho paura o ansia del futuro. Non voglio dire che dormo tranquilla, senza rimpianti. Nessuna illuminazione sulla via di Damasco per me. Ma ancora una volta mi trovo ad affrontare un presente che non avevo programmato, e mi trovo a non avere una visione di quello che sarà il futuro. Ho però più chiaro chi sono e anche cosa vorrei e posso fare, ed è da qui che scelgo, umilmente, di ripartire. Ancora una volta, e credo che non sarà nemmeno l’ultima.
Quando, poche settimane fa, ho finalmente potuto riabbracciare la mia famiglia, immergermi in mare, mi è sembrato un miracolo! Ci speravo… ma non ci credevo che sarebbe potuto succedere! Eppure, di nuovo, la vita ci ha accontentati!
Voglio raccontarvi di come ho finalmente trovato una nuova attenzione dell’uso del tempo. Sin da piccola odiavo non avere niente da fare, ma ora che ho potuto ascoltarmi, ho imparato a usare il tempo per pensare, studiare, capire cosa mangio, impastare pizze, suonare l’ukulele, stare con amici e famiglia e tempo per… cucire. Cucire parole, ricucire il mio cuore sparso in mille parti nel mondo. Buone pratiche che sto continuando a portare avanti. E’ stato come un check up completo delle nostre esistenze, un ascolto sincero del nostro respiro e del battito del nostro cuore. Una nuova attenzione alla nostra essenza, a chi siamo interiormente, dato che tutto il resto era lontano da noi o non ne avevamo accesso. (Questo sguardo lo dovremmo tenere sempre vigile e attento!) Così mi sono ricordata di cosa volevo fare da grande. Sono rimasta senza lavoro, pur avendo firmato un contratto a tempo indeterminato solo un anno fa. Ma senza troppa meraviglia, perché non credo “a un tempo indeterminato”, piuttosto in un tempo determinato dalla volontà di fare un percorso insieme. Così, mi sono iscritta a un corso di alta formazione per imparare a progettare in modo partecipato. Perché in questo periodo di solitudine, è stata la mia rete di affetti a salvarmi, e sono sempre più convinta che è importante tornare a fare comunità.
Nuovi battiti, nuovi occhi. Un cambiamento fragile, obbligato, in cui ci possiamo riscoprire forti. Non so come sarà il mondo in futuro, ma credo che se ognuno di noi sarà se stesso e si concentrerà nella propria crescita di essere umano, abbiamo una possibilità.
Io proseguo con fiducia e persevero nel mio “uscire sola”, nel senso che ascolto i miei desideri e cerco di andarci fino in fondo. E quanto è bello, ora, guardarsi negli occhi, ri-conoscerci, e riprendere il cammino insieme.
9 aprile 2020. Da un mese sono forzatamente chiusa in casa, obbligata da tale “Covid-19”.
Penelope non esce più. E’ una quarantenne in quarantena. Lei e tutto il resto del Mondo.
Sono a Roma. Abbraccio solo i miei gatti. Parlo con il mondo attraverso il cellulare. Suono l’ukulele. Non ho mai iniziato a studiare inglese (era il primo proposito che avevo fatto!). Cucino nuove ricette per me e la mia coinquilina. Ho ripreso a fare yoga. Novità: non pianifico più nulla!
Spero di non dover mai incontrare, di persona, questo Covid-19! Anche se è già presente nelle nostre vite più di quanto vorremmo, e ci dovremo convivere a lungo. Si è preso il nostro tempo, i nostri cari… mi auguro non i nostri sogni, la nostra voglia di vivere.
Non sopporto chi definisce tutto questo una “guerra”. Io non mi sento in guerra. Mi sento piuttosto in un tempo sospeso, in un presente che ci sta chiedendo di essere lucidi, sul pezzo. Nelle rare volte in cui esco di casa sento una sorte di dissonanza. E’ come se ci sforzassimo di far si che tutto prosegua nella “normalità”, ma cosa possiamo definire “normale”?? Soprattutto in questo periodo? Il mondo va avanti. La Primavera è arrivata nonostante noi. E questa, ORA, è la nostra vita. Si, quella vita che avevamo reso frenetica, che ci voleva sempre pronti, brillanti. E’ sempre lei, e noi siamo sempre i protagonisti. Non possiamo delegare nessuno, niente ferie o vacanze. Questa pandemia va affrontata con la mascherina sul volto, i guanti, gli occhi e i cuori aperti. Tutta la nostra umanità è chiamata a rapporto: non si può abbassare la guardia. La vita, che ha più fantasia di noi, nel momento più inatteso è esplosa e ci ha chiusi in casa a vivere.
ORA. In questo momento. Da un mese a questa parte. Per i prossimi mesi. Lo avremo capito che niente dipende da noi? Sempre presi a fare progetti, a organizzare… io ne ho fatto anche un lavoro! Ma adesso ci troviamo veramente a fare i conti, finalmente, con quanto abbiamo seminato finora e a capire se e come continuare a prendercene cura.
Dice, di questi giorni, Livia Chandra Candiani: “Questo tempo di fermo obbligato è la quintessenza dell’osservazione di cosa sto facendo della mia esistenza, di quello che conta e di quello che è superfluo, delle relazioni buone e di quelle che non nutrono o fanno danno. Di come ricevo il mondo e di cosa gli porto in dono.”
Io mi sto rendendo conto che sono in un punto che è realmente il frutto di scelte fatte in passato. Ho un bagaglio di strumenti, conoscenze, rapporti, che mi stanno aiutando ad affrontare questa pandemia, e sento che ne sto trovando di nuovi. Quindi, quanto è importante questo momento?
ORA: Osservo Respiro Accolgo
Niente di più. Questa è l’accettazione. Non serve capire. Bisogna solo seguire il ritmo. Starci dentro. Usciti di casa avremo una sola cosa: noi stessi. Cosa porteremo fuori? Chi saremo?
Io in questa ri-esistenza ci credo! Fortemente!
Ne ho già scritto per ÀP, Accademia Popolare dell’Antimafia e dei Diritti (qui, per chi fosse curioso). Sento già un nuovo battito in petto. Ritrovo i veri amori, quelli che sono ancora parte di me, a prescindere da “come sono andati a finire” , e non parlo solo di uomini, ma di amicizie, luoghi, sogni. Tutti qui, con me. Ed è da loro che riparto.
A distanza di un mese, finalmente la vedo la mia vita, la morsa in cui ci siamo chiusi. Avevamo la libertà e il tempo… in realtà non eravamo veramente liberi e non avevamo il tempo per crescere, per conoscere e farci conoscere, cucinare, pensare, prenderci cura di noi stessi e di chi amiamo, della nostra casa, della nostra anima, del nostro spirito. Mi sembra di soffocare a ripensarci.
Lo dico: mi sento grata per questo periodo. Del “dopo” che seguirà questa pandemia. Non fraintendetemi, non sono “felice”. Perché mi manca da morire l’abbraccio di mia madre e di mio padre, mia sorella, il mare, il teatro. Perché in questo momento sono in cassa integrazione, e uscirò da qui da disoccupata. Doveva essere il mio momento di rilancio, vivere i favolosi 20+20, l’età più bella per una donna! Invece… sono fisicamente bloccata in casa. Senza una prospettiva. Ma vi assicuro che la mia mente sta viaggiando più veloce della luce. Mi sto permettendo di pensare, ragionare, osservare, scrivere, suonare, conoscermi, conoscere chi ho accanto.
Ho fiducia nel fatto che se tutti noi ci abbandoniamo a questo tempo, senza opporre resistenza, se ci stiamo dentro, il nostro presente sarà migliore. E ricordiamocelo: il futuro sta nascendo ORA.
Non dimentichiamo che questo periodo sospeso sta facendo emergere il bello e il brutto che si nasconde dentro ognuno di noi. Allora io ho deciso di riscoprire le mie doti e provare a correggere i lati oscuri.
Non lo voglio dimenticare questo momento. Per questo ho cucito un arazzo che porterò per sempre con me.
Ci sono le parole di Mariangela Gualtieri. Nessuno meglio di lei ha saputo dare un senso a questo periodo insensato. Parole eterne, che devono ricordarci che siamo parte di un universo che ha le sue regole, tutto è collegato, e questo tempo ha sicuramente la sua funzione. Non solo quella di bloccare un virus: io mi auguro anche quella di farci tornare ad accarezzare il Mondo con un tocco consapevole.
Questo è un inizio. Vero. Una ri-esistenza. Senza fretta, senza ansia…. qualcosa in noi è già cambiato. Respiriamo. Continuiamo il nostro percorso. Da soli… ma insieme!
Coltiviamo la malinconia per le cose che amiamo fare veramente, per chi amiamo veramente. Presto potremo uscire… e correre verso di loro!
Non avrei mai creduto che nel giro di un mese avrei avuto due avventure da raccontare! Eppure, dopo un’emozionante viaggio in Irlanda, sono finita sulle Dolomiti! Un viaggio che segnerà per sempre un “prima e un dopo”, per come è nato, per come si è svolto, e per i cambiamenti che sta portando nella mia vita. Fatico a raccontarlo, ma credo sia importante farlo per testimoniare che le belle cose, quando meno te l’aspetti, accadono.
Un giorno, distrattamente, ho letto su un giornale online che ci si poteva candidare per andare gratis 5 giorni sulle Dolomiti! Unica regola: niente cellulare. Una digital detox per scaricare lo stress in mezzo alla natura, offerto e organizzato da Heart of the Dolomites. Con il mio solito entusiasmo ho proposto ad altri di provarci, ma nessuno si è fidato o ha potuto farlo. Il giorno prima di partire per l’Irlanda ho girato un video e ho inviato la mia candidatura, senza crederci troppo, ma solo per non avere rimpianti.
A rivederlo ora, il video mostra una me molto emozionata, che fa trapelare un reale bisogno di staccare. Non di fuggire, ma di staccare. Staccare il telefono significa isolarsi, prendere una pausa dalla solita routine, dalle mille notizie e richieste che arrivano da tutte le parti del mondo. Dismettere i panni che indossiamo nella vita, per cercare di rimettersi in contatto con noi stessi. Ora che mancano solo 6 mesi ai miei X0 anni (anche se per fortuna continuo a dimostrarne meno!!!), avevo bisogno di fermarmi, respirare, ascoltare la mia voce interiore troppo spesso soffocata dal vociare degli altri. Sognavo tramonti infiniti, montagne, caprette, silenzio. Beh… anticipo che ho trovato molto di più!
Dopo pochi giorni dall’invio della mia candidatura, ero in Irlanda, stavamo andando verso la scuderia per andare a cavallo, ero felice, cantavo nella macchina guidata da Gigi, Giuly al mio fianco, quando è arrivata l’email che mi comunicava che tra 19.100 persone ero tra i 10 prescelti!! 19.100 persone da tutto il Mondo e loro, hanno scelto me. Pazzesco. In quel preciso momento mi sono sentita la persona più fortunata del mondo. Poi mi sono ricordata del mio libro preferito: “La fortuna non esiste”. Ed è vero.
Piuttosto preferisco credere che la felicità è una scelta e che se la scegli lei sceglie te. E così io, che avevo scelto di provarci, di mettermi a nudo e di tentare, scelta tra 19.100 persone, dal 13 al 17 settembre sono andata sulle Dolomiti per condividere un’avventura con altri nuovi 9 sconosciuti.
Poche le notizie che avevo, solo la destinazione: un aereo prenotato, consigli su cosa portare, e l’indicazione di dove avremmo dormito, il Rifugio Falier. Preparare uno zaino per un’avventura così misteriosa non è stata cosa facile. Sapere di non avere il cellulare comporta di dover portare, tra le altre cose, libri, un quaderno e una penna, una torcia, una macchina fotografica e… un dizionario di inglese dato che quella sarebbe stata la lingua utilizzata per poter dialogare con i miei compagni.
Arrivato il giorno del viaggio, cuore a mille, e tanti pensieri. Cosa stavo lasciando a casa? Di cosa avrei avuto nostalgia in quei giorni così isolata? E cosa avrei trovato al mio rientro? Pensieri che si sono dileguati non appena ho visto i miei compagni di viaggio. Ad aspettarmi in aeroporto alcuni degli organizzatori con un cartello in mano e i primi 5 arrivati. Ogni dubbio e perplessità se n’è andata al primo abbraccio. Chiacchiere (ancora in italiano… per fortuna!), primo pranzo tra le montagne accompagnato da un buon vino, ed eravamo già una squadra. Ci siamo poi riuniti tutti e 10 i fortunati, arrivati da tutte le parti del mondo, Brasile, Slovacchia, Londra, Lione, e dopo i saluti istituzionali, le presentazioni, abbiamo dato in consegna i nostri cellulari e ci siamo diretti a piedi al nostro Rifugio. Una camminata di 2 ore che ci ha lentamente portati lontani dalle nostre vite, dai nostri mondi, e ci ha catapultati in un mondo parallelo.
Ha avuto così inizio una delle avventure più belle che io abbia mai vissuto.Solo al mio rientro nella “vita reale”, quando hanno iniziato a chiamarci i giornalisti, quando tutti mi hanno chiesto incuriositi come era andata, ho capito che quella che sembrava una semplice vacanza, in realtà, è stato un piccolo gesto rivoluzionario. Un’eccezione alla regola che ci vuole sempre connessi, sempre disponibili e pettinati.
Noi per 5 giorni ci siamo isolati dal mondo ma ci siamo connessi con la natura, con noi stessi e tra di noi. Ci siamo fatti coccolare da Franca e Dante, che gestiscono il Rifugio Falier sotto la Marmolada. Calore, buon cibo, sorrisi e abbracci. La Valle dell’Ombretta ci proteggeva. Le nostre giornate sono passate nella semplicità. Dormire in un rifugio richiede spirito di adattamento. Camerate con letti a castello, due soli bagni per tutti. Eppure ci sentivamo come in un albergo di lusso. Perchè il lusso era avere il sole che sorgeva proprio davanti alla nostra finestra e ci colorava d’oro. Il silenzio. Le caprette la mattina che venivano a salutarci e a farsi coccolare. Lo scorrere tranquillo del tempo.Ogni giorno una scoperta. Lo yoga, il Forest Bath, lo Stone Balance, il Bagno sonoro. Ho ascoltato il mio corpo, abbracciato un albero, camminato scalza sulla terra, vibrato al suono delle campane tibetane, costruito un ponte con i sassi.Ogni giorno facevamo anche meditazione con la Mindfulness, scrivendo ogni sera nel nostro “Diario della gratitudine” tre ringraziamenti per le cose vissute durate la giornata. E poi tanto trekking e camminate. Sono tornata bambina! Con quella semplicità e leggerezza che tanto mi mancavano. Adolescenti degli anni ’90, che trascorrevano il tempo a conoscersi, giocare, ridere, piangere, abbracciarsi, brindare ai nostri desideri.
Non abbiamo mai affrontato veramente il tema “cellulare”. Non eravamo li per “disintossicarci dallo smartphone”, noi avevamo bisogno di riconnetterci con noi stessi. Con il presente. Con le vite che ci passano accanto e che spesso nemmeno notiamo.
Ed ecco cosa mi è rimasta di questa esperienza. Mi è rimasta un’attenzione maggiore del qui ed ora, un amore per me stessa e la mia vita che avevo perso. Accendo il telefono più tardi la mattina, non ho più la necessità di condividere tutto quello che faccio perchè preferisco viverlo, assaporarlo. Mi sento forte. Capace di scalare una montagna. Proseguo la mia ricerca della Felicità con cuore e occhi spalancati, predisposta ad accogliere ciò che incontro, persone, luoghi, situazioni. Cerco il mio ritmo, ascolto il mio respiro e lo accetto così com’è.
Credo che questo ricordo possa riassumere in pieno quello che ho vissuto: il nostro ultimo trekking verso la vetta della Marmolada. Non avevo voglia di andare, ma l’entusiasmo degli altri mi ha convinta che non potevo perdere quest’ennesima, ultima avventura. Ho faticato tanto, ma mi sono concentrata nella ricerca del mio ritmo. La camminata è stata una sorta di meditazione. Arrivati a un certo punto non ce la facevo più a salire, e mi sono fermata ad aspettarli. Io, sola, davanti alla vallata. Ho meditato, scritto, letto, creato l’ennesima torre di pietre. Poi i miei compagni sono tornati da me, a prendermi. Non mi sono mai sentita sola. Ero tutt’uno con la bellezza che c’era davanti e dentro di me.
Ora mi sono rimasti Carol, Ionela, Ivana, Valentina, Fulvio, Michel, Igor, Josef, Lucas. PDC = Pezzi Di Cuore, siamo i 10 fortunati non solo perchè abbiamo potuto vivere questa esperienza, ma per tutta la bellezza che ci siamo portati via.Il cellulare lo uso principalmente per stare connessa a loro e a chi amo e mi sta lontana. Rapporti condivisi, reciproci, reali.
Grazie a chi ha reso possibile tutto questo: Emma, Dott. Alberto, Amina, Elisa, Valentina, Giada, Marisa, Adriano, Samir, Dante e Franca. E Mauro, mio pezzo di cuore, che mi ha ricordato che devo seguire il mio ritmo, che posso arrivare ovunque, e che sono bella quando mi emoziono! Mi avete insegnato cosa significa “resilienza”, voi che amate così tanto il vostro territorio, che avete deciso di lavorare li, di investirci e di reagire ai danni provocati dai temporali dello scorso anno. Siete stati un forte esempio.
Perchè “Penelope esce sola” ma nel suo cammino ha sempre la fortuna di incontrare compagni di viaggio speciali. Voi siete tra questi.
Un giorno mi sono accorta che erano anni che non prendevo un aereo! Avevo passato tre anni a fare un viaggio dentro me stessa, per scoprire chi ero, cosa era rimasto di me e da dove partire. Poi d’improvviso un forte desiderio di riprendere a viaggiare “fuori” di me.
Ma non è facile farlo veramente da sola, o almeno, non ero pronta. E allora ecco una nuova sfida: partire con un gruppo di sconosciuti! Del resto non ho mai avuto difficoltà ad adattarmi e a fare amicizia. Non volevo una meta troppo lontana, quindi sarebbe stata europea, ma comunque avventurosa.
Trovata! Con WeRoad un giro dell’Irlanda a 360°, in dieci giorni, in macchina… con persone sconosciute! Con lo zaino. Tutte novità per la coraggiosa Penelope.
Accetto la sfida. E che Irlanda sia! Partenza 9 agosto 2019.
Un paio di mesi prima una chat su whattapp doveva farci “conoscere”. Quando è comparso il gruppo una forte emozione e curiosità mi ha colto. Eccoli li, i 13 sconosciuti che mi avrebbero accompagnata in questa avventura. Ci siamo studiati a distanza, ma i mille messaggi facevano già intendere che era nata un’intesa e il patto di vivere fino in fondo questa esperienza con serenità era stato silenziosamente siglato.
Nei mesi successivi un pò d’ansia mi era salita… la sola idea di dover fare uno zaino e doverlo gestire per tanti giorni mi preoccupava non poco. Loro invece sembravano simpatici. Arrivato il momento della partenza mi sentivo impreparata. Lo zaino… ovviamente l’ho comprato la mattina prima della partenza.
Il gruppo era composto in prevalenza da “gente del nord”, 6 donne e 8 uomini. I messaggi e le info che mi arrivavano mi hanno convinta ad uscire di casa molto prima rispetto a quanto avevo preventivato io, coi miei tempi romani, ma meglio così, almeno potevo risolvere eventuali imprevisti. Il ritmo del viaggio sarebbe stato il “nostro” e non più solo il mio.
Arrivata all’aeroporto ho avuto un nodo in gola, tanti ricordi mi hanno assalita: quanto amo viaggiare, eppure…. ho messo da parte tutto questo per paura. L’ho sciolto facendo scorrere le lacrime.
Ed eccomi: una bellissima donna, con due zaini in spalla, e un grande desiderio di libertà. Forte eppure fragile. Con il cuore stropicciato e le spalle forti.
Controlli passati, due ore davanti a me. Ho comprato un libro che sapevo che sarebbe stato il giusto compagno: “Scintille. Storie e incontri che decidono il nostro destino“, di Federico Pace. Mi dirigevo verso un nuovo paese, un gruppo di sconosciuti, una terra bellissima. Dietro di me un batticuore, i miei due pelosi, la mia vita. Un respiro ed ecco tornato il mio sorriso.
Faccia da schiaffi se ne stava andando a Dublino!!!!!
Salita in aereo mi sono sentita a mio agio, emozionata. Tutto è trascorso bene. Alle 17 incontro nella hall del primo albergo. Ed eccoli li: i miei 13 compagni di viaggio. Lo sentivo, erano simili a me. Un feeling scoppiato al primo sguardo. Saremo stati insieme 10 giorni. Ed era già bellissimo.
Agosto 2019, in giro in macchina per l’Irlanda con degli ex sconosciuti. Serate passate a ballare, bere Guinness e wiskhy e scoprire che questo senso di libertà mi piace. Capelli arruffati per colpa della pioggia. e un sorriso splendente per colpa della serenità.
Emozionarsi per le avventure di persone incontrate solo tre giorni prima. Trovare a terra 50€, regalo di un Leprechaun, lo gnomo della pentola d’oro!!!, ridere fino ad avere il mal di pancia, camminare, ballare fino allo sfinimento. Paesaggi mozzafiato. Il verde di questa terra mi metteva un grande senso di pace. Ho baciato una pietra, la pietra dell’eloquenza, nel Castello di Blarney, proprio io che sono stata un fiume di parole dal primo istante! Scogliere a strapiombo nell’Oceano. Meraviglie che si sono modellate nel tempo. Le guardavo e pensavo ancora una volta che ci vuole pazienza. Come quando sei in mezzo al mare in barca a cercare le balene che appaiono d’improvviso, ma poi in realtà sono i delfini che ti emozionano di più. Bisogna solo stare con gli occhi aperti. Fidarsi. Lasciarsi trasportare da una cavalla, Blacknay, fino all’Oceano.
13 belle anime mi hanno circondato. Ognuno con la sua storia e il suo percorso di vita. Da quando aprivo gli occhi la mattina a quando li chiudevo mi attraversavano con parole, sguardi, sorrisi di complicità. Un’interazione reale che a volte mi trovava impreparata. Avrei voluto prendere gli appunti per ricordare tutto quello che mi hanno raccontato. Stimoli e idee che a volte mi hanno fatto sentire piccola. Io che sono rimasta indietro di tanti viaggi, film, libri… ma poi mi ricordavo di quanta vita ho percorso fino a qui, con determinazione e coraggio. Ho percorso altre strade con il mio ritmo e sono stati percorsi di cui andare fiera.
In quei giorni eravamo semplicemente in una dimensione altra, diversa dal solito. Eppure reale. Una parentesi, una vita parallela, ma che come al mio solito costringerò a intersecare la mia vita perché già so che quei nuovi conosciuti e quei posti magici li ho portati via con me.
E porto con me la consapevolezza di essere forte. Fragile, ma comunque forte. So essere accogliente, contagiosa nel mettere l’allegria. So fidarmi e so lasciarmi guidare. Devo crescere, migliorare, ma se mi impegnerò ce la potrò fare ad essere la donna che vorrei essere.
Un’avventura che ha tirato fuori la mia parte bella, troppe volte accantonata. La mia “leggerezza”, che è anche ballare in un locale irlandese senza sosta. Dimenticare orari o etichette. Pazienza se non avevo i tacchi, se i miei capelli erano più gipsy che mai. Non mi sono mai sentita così libera di essere me stessa, la più sexy di tutte perché indossavo il mio sorriso migliore.
Torno con un forte desiderio di studiare, migliorare. Basta restare in superficie. Ho voglia di immergermi nel mondo. Un incredibile, veloce, corso di recupero.
Grazie alla mia compagnia, Claudia, Daniele, Federico Prof, Federico Cummenda, Giuly, Laura, Letizia, Luigi, Marcellino, Marco, Marta, Paolo, Paolo Porsche, per essersi fatta conoscere e avermi aiutata a conoscermi. Ora questi sconosciuti sono un po’ più vicini al mio cuore.
A poche ore dalla partenza, stesa sull’erba in un giardino segreto ho sentito una forte voglia di tornare a casa: non avevo paura. Non più. Tutto questo non lo perderò, fa parte di me.
E ho un nuovo insegnamento:
PRIMA DI PIANIFICARE IL FUTURO, DIVORA IL PRESENTE
che stiamo sempre con lo sguardo verso il cielo.
Che guardiamo le nuvole.
Che seguiamo il volo degli uccelli.
Che corriamo dietro le farfalle.
Che ad ogni tramonto facciamo un sospiro e diciamo “che bellezza”, come se fosse sempre la prima volta.
Che puntiamo la sveglia per vedere l’alba.
Noi ragazze romantiche, di tutte le età,
che guardiamo il mare chiedendoci cosa ci sarà oltre l’orizzonte.
Che chiudiamo gli occhi e stiamo a sentire il calore del sole in ogni parte del corpo.
Che i fiori li accarezziamo.
Che guardiamo le stelle, e se ne cade una… già avevamo il desiderio pronto.
Beh, noi ragazze romantiche, di ogni età, la Luna la contempliamo tutte le sere.
Non solo quando c’è l’eclissi più lunga del secolo.
Noi la cerchiamo, la salutiamo.
Ci fermiamo al semaforo più felici se davanti a noi c’è Lei.
Eh, se potesse parlare la Luna… Lei sa tutto di noi.
L’altra sera, 27 luglio 2018, è diventata rossa. Forse perchè di segreti ne abbiamo raccontati troppi??
Non so voi, ma io dopo l’eclissi mi sono sentita più leggera. Più consapevole.
Dicono sia un nuovo inizio!
Di sicuro è stato uno spettacolo che non dimenticheremo più.
La Luna è arrossita, è diventata rosso sangue, e poco dopo da sotto è spuntato anche Marte, rossissimo anche lui!
Contemplandola io ho avuto mille pensieri, ho espresso i miei desideri ed ho aspettato che la Luna tornasse bianca, che quel rosso portasse con se una parte di me.
Beh… come dice Vasco?
… Se c’è qualcosa che non ti va
Dillo alla luna
Può darsi che ‘Porti fortuna’
Dirlo alla luna…
Ed ovviamente noi ragazze romaniche, di tutte le età, ci crediamo!
Dopo quattro anni, ieri sono rientrata in uno dei miei luoghi del cuore… il Teatro Valle di Roma. Era il 10 agosto 2014. Un tuffo al cuore, nei sentimenti.
Come un esiliato che rientra furtivamente in Patria, di nascosto, per riabbracciare i suoi cari, stavolta Ulisse e non più Penelope. Sono entrata alla conferenza stampa di presentazione del progetto del Comune di Roma: “Interludio Valle”, una serie di eventi di riapertura parziale del Teatro tra la prima e la seconda fase dei lavori di ristrutturazione necessari per farlo tornare ad essere agibile.
Da quando ho deciso di andare, grazie alla segnalazione di Andrea Pocosgnich, l’unico che ne ha dato informazione dato che era un evento super blindato con camionette della Polizia e lista di ingresso… un solo pensiero mi è risuonato in testa:
E’ SOLO AMORE
E’ stato solo amore che ci ha fatto lottare per salvare da una speculazione e dalla brutta politica un teatro storico, simbolo del nostro lavoro e dell’arte. Che ci ha fatto mettere corpo e anima in una lotta. Che ci ha fatto prendere cura di uno spazio, pulire i bagni, passare l’aspirapolvere, fare riunioni interminabili, litigate, creare cose belle…. gratis. Un gratis che è stato ricambiato da energia, bellezza, senso di pienezza, perchè quello che facevamo aveva un senso, e non aveva bisogno di essere retribuito.
E’ solo amore che guida le irragionevoli motivazioni che ci fanno continuare a fare un lavoro masochista. Tra disperazione ed euforia.
Ed è stato solo per amore che ieri ho preso l’autobus (lo scooter ovviamente rotto… perchè lui è l’unico che mi capisce e sa quando deve fermarsi e lo fa per me, per farmi rallentare e donarmi momenti di riflessione) e sono entrata.
Il tempo sembrava non essere mai passato, immobile come l’orologio che è dipinto sopra il palco. E invece… era una vita fa.
Mi sono seduta su una poltrona, sotto quel lampadario e quel soffitto che ho sempre amato, e mi sono lasciata avvolgere da un abbraccio caldo, sincero. Sono sprofondata nei ricordi, vedevo visi, sentivo voci impressi nella memoria del cuore.
Poi mi sono ripresa, e mi sono messa in ascolto. E ho sentito di progetti di apertura “temporanea”, di installazioni e non di spettacoli, perchè il teatro non è agibile, di soldi spesi per far riavere a quel luogo la sua “funzione pubblica” di luogo di cultura. Ma… qualcosa non mi torna. Perchè in questi tre anni, uscita da li, cacciata da li, ho invaso la città, il paese intero. Festival, compagnie, nuovi spazi che cercano di aprire. Penelope è uscita (sola!) e ha smesso di attendere un lavoro. uno spazio… se li sta creando da sola. Il Teatro Valle era e resta un simbolo, un luogo pieno di storia e di bellezza. Ma come dissi tre anni fa, non deve restare un’isola che non c’è. E se fuori dal suo foyer c’è una città che soffre non si può far finta che non sia così.
Invece, ecco la politica: facciamo vedere che il teatro è aperto, che è un luogo pubblico e attraversato. Pazienza se invece che teatro (che è la vera funzione dello spazio) ci facciamo mostre e incontri. Trasformiamolo nel salotto buono, uno specchio che rifletta un’immagine creata apposta per far vedere la nostra bellezza.
Ma se quello specchio fosse realmente interrogato, alla domanda “Teatro Valle, chi è il più bello del reame?” io sono sicura che lui non direbbe “IO” ma nominerebbe tutti quei teatri privati, gli spazi multidisciplinari, autogestiti, che con fatica ogni giorno portano avanti un vero lavoro su territori difficili e su una città che sta soffrendo, ma lo fanno con coraggio e follia. Con Amore. Nominerebbe le compagnie teatrali e gli artisti romani senza una sede che provano spettacoli nelle proprie cucine, nei garage. Nominerebbe chi ha lasciato questa città per creare e portare bellezza altrove, dove finalmente gli viene riconosciuto un valore.
Perchè è solo amore voler continuare a fare un lavoro in un ambiente e una città che non riconoscono una storia, che ti prendono delle idee e dei progetti ma non ti coinvolgono nella realizzazione, che non ti pagano costringendoti a fare mille lavoretti per campare senza avere più le energie e il tempo per realizzare il tuo sogno.
Il Teatro Valle ha una storia. Si respira appena ci entri. E in questa storia ci sono anche tre anni di occupazione in cui si era creato un laboratorio di idee, in cui migliaia di persone lo hanno attraversato e lo hanno potuto vivere liberamente. Vederlo così, aperto e in bella mostra di sè ma senza una vera anima è doloroso.
E penso che la politica poteva concentrarsi e decidere di investire fuori. Cercare altri fondi e far tenere aperti più ore i teatri pubblici agibili che ci sono, ad esempio, e darli gratuitamente a compagnie e artisti romani. Far partire e ripartire progetti di sostegno per la cultura. Di salotti buoni e di vetrine in questa città ce ne sono già tante.
Il Teatro Valle deve risuonare di arte, risate, teatro, VITA. Diamogli il tempo di riprendersi, di tornare ad essere bello, agibile, e nel frattempo perchè non avviare dei progetti realmente condivisi da far convogliare li tra (speriamo!) tre anni???
Ho visto l’installazione. Un bellissimo sipario di Palladino, quadri di drammaturghi e le voci. Ho ascoltato a occhi chiusi la voce di Carmelo Bene. Voci del passato che risuonano in un luogo in cui veramente il tempo sembra non voler passare più, congelato da lavori di ristrutturazione e infiniti tempi della politica.
COME E’ TRISTE LA PRUDENZA
Sono uscita da lì rattristata. Scappo da un passato che si auto-celebra all’infinito. Investo nel futuro. E spero che il Teatro Valle torni presto a splendere, torni a vivere. Che diventi veramente un luogo di tutti e per tutti, aperto sempre, pubblico, vivo, con progetti condivisi di arte e cultura.
Nel frattempo… noi… qui fuori… cerchiamo di sopravvivere.
Ultimo giorno dell’anno. Ho iniziato il 2017 senza fare propositi ed esprimere desideri, lo chiuderò senza tirare le somme.
Sono stati 365 giorni di emozioni, avventure, delusioni, emozioni, sorrisi, lacrime, scoperte, odi e amori. Giorni come tanti, giorni speciali, giorni dimenticabili e giorni indimenticabili.
E con un normale continuum… domani arriverà il 2018.
Chiedo solo al 2017 di passargli in consegna i miei sogni mai svelati, i desideri conservati nel profondo, perchè non ho intenzione di raccontare troppo di me a un nuovo anno appena conosciuto. Insomma, la fiducia va conquistata.
Se non fosse per motivi convenzionali, non lo vorrei proprio far finire questo 2017.
Si lo ammetto, mi sono ormai affezionata. Ma certi bei rapporti non finiscono con la separazione, e so che ti ricorderò sempre mio caro 2017.
Pochi tuoi predecessori hanno avuto questo privilegio.
Nel significato numerologico il numero “7” è proprio un bel numero! sembra avere la capacità di “realizzare” il magico nel quotidiano, rappresenta un ciclo compiuto e dinamico. Io poi gli ho associato il “3” dei miei 37 anni, quindi… uahu!!!
Tra le cose importanti che ho scoperto e accettato di me è che sono riccia! Una vita a lottare con i miei capelli, piastre, phon, ore e ore perse. E invece: chi nasce riccio non avrà mai un vero liscio!
Grazie allo yoga mi sto rimettendo in ascolto della mia vera natura (anche quella dei capelli!).
ACCETTARSI E’ IL PRIMO PASSO PER LA FELICITA’.
Ho un nuovo ukulele che ho intenzione di imparare a suonare bene trovando il mio strumming per portare allegria nella mia vita, perchè la vita va riempita di musica.
E ho ovviamente scoperto cose più profonde di me, e averle accettate mi ha permesso di conquistare un sguardo sereno e aperto. Di fare incontri (e scontri) che non avrei mai pensato e sperato di fare, concerti, lavori, città, teatri, amici, amiche…
Si. Nella sua (mia) imperfezione è stato un anno bellissimo.
Però ora mio caro 2018, non sentirti a disagio. Come ho fatto 365 giorni fa, anche nei tuoi confronti non ho alcuna aspettativa, te lo prometto.
Non le ho nemmeno più su di me.
Affrontiamo ogni giorno come una nuova occasione, conosciamo persone con curiosità, speriamo in nuovi lavori interessanti e divertenti, e perchè no… qualche viaggetto ci starebbe proprio bene!
Ma ora scusa, mi godo le ultime ore con il mio amico 2017, che sono sicura avrà ancora belle sensazioni, emozioni ed occasioni da regalarmi in chiusura.
Buon fine anno a tutti, nella vita è importante anche chiudere bene le cose, non solo saperle iniziarle.
E’ veramente così necessario che ogni donna ribadisca il valore del proprio corpo?
E’ necessario ribadire che il “mio corpo è mio e decido io a chi darlo?”.
Se, come alcuni chiedono, fosse necessario, ecco, lo dico anche io.
Io che sono una donna, e con il mio corpo ci convivo da sempre.
Ho lottato contro degli stereotipi quando ero una giovane adolescente insicura, e ci lotto ora che donna non sopporto di dovermi difendere dagli uomini.
E’ sconvolgente come si continuino a registrare casi di violenze, come nel 2017 la nostra società occidentale tanto moderna non abbia estirpato questo male.
Non è questione di provenienza, cultura, religione. E’ questione di umanità.
Credo che la violenza più pericolosa e dolorosa sia quella psicologica. Quella che porta una donna a non essere se stessa perchè ha paura, perchè non può seguire i propri sogni e desideri, quella che ti porta a non poter uscire la sera vestita come ti pare perchè “è pericoloso”.
Non è pericoloso essere donna. La cattiveria e l’egoismo sono pericolosi.
Sarebbe veramente importante iniziare a fare realmente educazione sentimentale. Farlo nelle scuole, nelle piazze. Non solo ai bambini, ma anche ai genitori.
Perchè non esistono “omicidi passionali”, non esistono violenze verso donne “che se la sono cercata”.
Dover ribadire questi semplici concetti nel 2017 è una grande sconfitta per tutto il genere umano.