365 giorni

Un anno fa, con un furgone pieno delle mie cose, dopo ventidue anni, tornavo a vivere a Civitanova Marche.

Tornavo a vivere. Anzi: iniziavo a farlo in modo consapevole.

Non voglio fare bilanci, ma questa mattina ho aperto gli occhi e ho pensato che è vero: le cose che sono fatte per te accadono se le lasci accadere.

Una vita passata a cercare di convincere gli altri del mio valore, quando in realtà era me che dovevo convincere del fatto che merito di essere felice.

La scelta di riesistere da qui è stata tormentata, perchè per la prima volta ho deciso per me. E da quel giorno non ho mai smesso di farlo.

una poesia di Chandra Candiani, ricamata da me

Il fluire di quello che ne è seguito ha fatto si che in modo naturale, senza lottare o faticare, il 7 marzo in questa casa sono arrivati anche i miei pelosi. Staccarmi da loro era stata la cosa più difficile da fare. Oggi mi sono svegliata con loro che mi saltavano addosso alle sette del mattino, e mi sembrava un sogno.

Non è un sogno, è la realizzazione di tanti desideri espressi.
La casa è quasi pronta. In due mesi ho buttato giù un muro, buttato via tante cose e ne ho comprate altrettante. Sarà veramente la mia casa quando arriverà la cucina e appenderò alle pareti colorate di giallo i miei ricami e le stampe che parlano di me, quando finalmente tirerò fuori dagli scatoloni i miei libri, e a quelli aggiungerò i mille nuovi che comprerò nei prossimi mesi.

La serenità è vedere che le cose accadono. Che chi ha il tuo stesso battito ti riconosce con uno sguardo e in modo naturale, in punta di piedi, entra nella tua vita.

Ho smesso di fare programmi, se non quelli di felicità.

Ho anche aperto la partita iva e ho ufficialmente deciso che lavorerò a più progetti possibili, perchè ora che ho una casa con i due gatti dentro posso riprendere a viaggiare e a conoscere il mondo.
E ancora più importante, ho iniziato a seminare rapporti e nuovi progetti qui, a Civitanova Marche. Me ne sono andata a diciannove anni perchè qui c’era il deserto. E allora eccomi pronta a far fiorire fiori in questo deserto. Mi metto a servizio, con il mio bagaglio di conoscenze ed esperienze, per aiutare la mia comunità a crescere.

Ci metterò molto a capire e a processare tutte le novità che stanno accadendo nella mia vita.
In un mondo sporco di sangue, dove la pace non esiste, abbiamo la missione di seminarla nelle nostre vite. Amarci, stringerci.

Mi guardo allo specchio e finalmente riconosco la donna che vedo riflessa. Sono curiosa di vedere come andrò avanti in questo meraviglioso viaggio. Sono grata alla vita, alla me che ero e che mi ha condotta fin qui.

In questo processo al contrario, mi sono appassionata a Harry Potter.
Silente una volta gli ha detto:

sono le scelte che facciamo che dimostrano quel che siamo veramente molto più delle nostre capacità

E io decido di continuare a scegliere ascoltando il cuore.

La mia vita mi fa perdere il sonno sempre

Prima luna piena del 2022. L’ammiro, le confido le mie paure, i miei sospiri.

Questa distanza infinita tra di noi mi uccide. Lontani un metro… e anche di più. Questa solitudine un po’ scelta, ma più che altro forzata, mi consente di ascoltarmi, conoscermi e darmi un tempo per reagire con coscienza.

La mia visual board del nuovo anno, in cui ho messo immagini per gli obiettivi del 2022, non differisce troppo da quella dell’anno precedente, è solo più dettagliata. Perchè sto imparando che è importante definire degli obbiettivi. I valori che mi guidano sono gli stessi, cambia la consapevolezza di quello che ho scoperto di me stessa.

Sono completamente proiettata al futuro, ho ancora fiducia e speranza, ma ho i piedi ben saldi nel presente.

Non mi era mai successo, di ascoltarmi così in profondità, di prendere decisioni in base a come sto e a quello che desidero veramente IO. Per la prima volta pratico l’assertività senza sentirmi in colpa.

In questo momento di grande consapevolezza sento che le scelte prese nell’ultimo anno hanno un peso specifico non indifferente. Mettono a dura prova me e chi mi vuole bene.

Mettono a dura prova la mia famiglia, che mi ha vista catapultata in questa pigra realtà di provincia con tutti i miei sogni e desideri di ragazza (mhmhmh forse è ora di dire donna…) di Mondo. Il Mondo in parte l’ho visto, vissuto, ma soprattutto lo sogno ad occhi aperti. La mia presenza li scuote e rivoluziona anche la loro vita.

Mettono a dura prova il mio lavoro. Che sta prendendo forma con me, che mi permetto di modellarlo a mia immagine e somiglianza, e chissà cosa ne uscirà fuori, spero un percorso coerente.

Mettono a dura prova i miei amici e amiche… le persone a cui voglio bene ma che in una certa misura devono superare anche la distanza fisica che ora c’è tra di noi. Sembra banale, ma esserci e scegliersi implica reciprocità, desiderio, un impegno e una consapevolezza che “ne deve valere la pena”. E questo mi fa paura: io, ne valgo la pena?

Mettono a dura prova i miei sogni di felicità. Perché prima, da Roma, avevo l’illusione che tutto era possibile e a portata di mano. In realtà c’ero io in sella allo scooter che correvo dietro a persone, eventi, teatri… avevo la pretesa che il mio agire potesse indirizzare la vita e le persone dove volevo io. 2020. L’illusione è svanita. Ha lasciato il posto alla consapevolezza che niente dipende da noi, ci possiamo provare, vivere, fare del nostro meglio. Poi… anche gli altri devono metterci del loro.

Ora sono qui. Dove il tempo apparentemente scorre lento. A cercare ogni giorno di dare un senso alle mie azioni. Sono qui, con mille vuoti che non ho voglia di riempire con niente.

Sto.

Nel tempo e nel luogo che forse, in realtà, hanno scelto me. Ma con la mia capacità di adattamento, che ho costruito come una seconda pelle per sopravvivere all’incertezza. Proseguo con la mia andatura da flanier, che si guarda intorno con curiosità. Chissà dove mi porterà il prossimo passo? Che ci sarà dietro l’angolo?

Perché una cosa ormai mi è chiara: non possiamo fare progetti ben definiti sul futuro. Dobbiamo smetterla di restare attaccati ai sogni e alle persone, è ora di lasciar fluire il proprio ritmo.

Perché in questo blue monday 2022 mi sono messa a scrivere? cosa mi spinge a farlo? (Vorrei farlo con più costanza, ma figuriamoci.) Scrivo perché ho avviato una mia personale rivoluzione. Credo nella condivisione. E credo che il mio percorso, per quanto disordinato, posso aiutare chi è a un passo dietro di me. Non sono un esempio, ma almeno… vedendo me… potete capire se ne vale la pena buttarsi, liberarsi, proseguire, anche se spesso ci si trova sole. Per ora mi sento di dire che si, ne vale la pena. Per quanto riguarda il farlo da sola, non è un scelta, io sono felice se qualcuno vuole uscire con me.

“Ho capito di essere una persona abbandonabile.
Non nel senso che non posso evitare l’abbandono, che mi è ovvio fin da bambina. Ma che lo considero una possibilità imminente e talvolta auspicabile.
Un tempo pensavo di essere una che abbandona facilmente.

Ora so che, anche se con dolore, sono abbandonabile. Voglio dire che quando sento che non ci sono le condizioni
per incontrarsi davvero, per intendersi senza
troppa fatica, «abbandonami» è un invito liberante.
Non è obbligatorio tenermi, frequentarmi è facoltativo.
E questo dà molta leggerezza e grazia all’incontro.
Come fanno le libellule e forse i volatili in genere. Può far molto male all’inizio, può atterrare ma poi piano piano si sente che sopra la testa e tutt’intorno si allarga
un grande spazio libero. C’è piú sfondo e un sentore appena accennato di nuove possibilità. L’odore è l’esatto opposto dell’odore di bruciato. Un profumo
fresco di bucato appena steso, di pavimento appena spazzato e poi lavato. Con cura. Con le finestre aperte.”


Chandra Candiani da ‘Questo immenso non sapere’. (Einaudi 2021)

2022, GIURO

poesia di Mariangela Gualtieri, ricamata da me

Inizia il 2022.

Parti da te.

Giura che sarai sempre fedele a te stess* , in ascolto della tua parte interiore.

Riparti da questo.

Senza programmi o progetti stabiliti.

Osserva il mondo con occhi nuovi, pront* a meravigliarti.

Parola del 2022: IMPEGNO

impegno/im·pé·gno/sostantivo maschile

1.Obbligo assunto nei riguardi di altri, ma anche verso se stessi, a proposito del proprio atteggiamento o comportamento, oppure di una corresponsione o prestazione.

2.Impiego incondizionato di tutta la propria buona volontà e delle proprie forze nello svolgimento di un compito individuale o collettivo.

“lavorare”

Buon inizio a tutt*!

#penelopeescesola

Positivi vs negativi

Sta per chiudersi questo 2021.

No, nessun “era ora” uscirà dalla mia bocca per salutarlo!

In questi giorni di ennesima fase di pandemia siamo divisi tra “positivi” e “negativi”. Io per natura amo pensare in positivo… ma il fatto di essere “negativa” (o almeno non positiva certificata!) ora mi sembra una bella cosa.

Sto iniziando a mettere da parte i ricordi, a mettere a fuoco quanto ho imparato di me e della vita, delle persone che mi stanno accanto. Domani qui inizieremo i rituali di fine anno. Perché è importante praticare la gratitudine, riconoscere che un anno non sono 365 giorni uno uguale all’altro, che ognuno di essi ci ha fatto crescere e cambiare. E che continueremo a farlo.

Mi dispiace avere questo senso di paura. Soprattutto di fare del male alle persone che amo. E anche il timore di uscire non mi appartiene. Penelope esce!

Ho la vertigine per la paura e il desiderio di buttarmi. Il Capodanno è un rito collettivo, ma io sento che ogni mattina è un nuovo inizio. Quindi, come al solito, non faccio progetti o programmi. Un anno fa avevo creato una visual board su come avrei voluto che fosse questo anno, e ammetto che mi ha aiutata a tenere il punto dei miei desideri. Ne farò una nuova il 31!

Ma già li sento, ho dei desideri che mi stanno esplodendo dentro. Non voglio che oltre alla paura naturale del nuovo si aggiunga anche la paura per il virus.

Sono già emozionata perché nei prossimi mesi dovrebbero accadere tante cose che ho desiderato e per cui ho lottato. Il solo pensiero mi fa esplodere il cuore!

Cerco di frenare la frenesia di far accadere le cose. Seguo il ritmo.

Mi sento grata per ognuno dei 365 giorni di questo folle 2021. Festeggio il percorso che mi ha condotta fino a qui. Non sono stati tutti giorni “positivi”… anzi! Ma il motto questo anno è quello di Epitteto:

Non è ciò che ti accade, ma come reagisci, che ha importanza

Ho avuto la fortuna in questi mesi di aver visto donne e uomini fortissimi reagire a quello che stavano vivendo, e anche io l’ho fatto.

Ho imparato che la prima cosa da focalizzare sono gli obiettivi, e poi cercare di sviluppare gli strumenti che ci saranno utili per raggiungerli. E’ quello che viene biblicamente definito “costruire la casa sulla roccia”. Spesso credo di essermi accollata obiettivi comuni che non erano i miei. Copioni di vite che non mi somigliavano. Indirizzarci verso un sentire profondo e personale, che parta dai nostri veri desideri, dalle nostre possibilità e capacità, ci può aiutare ad essere meno frustrati. E anche pronti a seguire il flusso degli eventi.

Nessun test potrà mai decidere se saremo positivi o negativi nel reagire alla vita.

Un bel respiro… e buttiamoci senza paura.

Non aspettare di essere felice per fare cose belle

... fai cose belle per essere felice”

Sono in treno, direzione Lecce.

E’ quasi Natale, quasi fine di questo 2020+1. Ci siamo. L’aria è cambiata, sospesa.
Io, invece di fare progetti per il mio futuro incerto, ripenso a questo anno pieno di cambiamenti, e mi viene la vertigine. Non faccio mai buoni propositi per il nuovo anno, ma voglio coltivare sogni! Mi auguro di proseguire la strada (sconclusionata) che ho iniziato in questo biennio doloroso eppure importante per la mia crescita personale.

Ho scritto poco, viaggiato e vissuto tanto. Sto guardando le foto di questi dodici mesi e non credo ai miei occhi! Quanti posti meravigliosi, pezzi di cuore che ho abbracciato e riabbracciato, persone meravigliose che ho conosciuto, micetti sparsi che ho coccolato e… in alcune sono bella come non sono mai stata, segno che ero veramente felice.

La fine dell’anno mi sta regalando la liberazione dalla staus di “cassa integrata” in cui sono stata imbrigliata per diciotto mesi. Certo, ora sono disoccupata, ma in fondo non ho mai smesso di lavorare.

Aspetto Natale in una nuova casa. Perché ormai mi sono decisa: Civitanova e la casa dei miei nonni saranno casa mia. Un punto di partenza per proseguire i miei viaggi e progetti ma anche dove placarmi e ritrovarmi.

Sono una quarantenne che vive da ventenne (lo dico sempre che i quaranta sono i nuovi venti!!!). Mi sento sempre al punto di partenza, ma ho capito che dipende tutto dal mio essere inquieta e multi potenziale: una vita “schematizzata” non l’ho mai cercata.

In realtà, non ho mai avuto un progetto chiaro! A parte uno: essere felice.

Tutto in questo anno sembrava portarmi a stare ferma, immobile. In attesa che il mio futuro si delineasse, la pandemia non è mai finita e invece io mi sono mossa tantissimo. Ho cambiato città, fatto viaggetti e soprattutto nel periodo estivo ho fatto non so quanti chilometri e quante avventure. Dato che venivo pagata per non lavorare… non ho lavorato e ho utilizzo il mio tempo per fare esperienze.

Ormai ho questo schema: la mia estate inizia a Stromboli e si chiude sulle Dolomiti. E così è stato anche quest’anno, con in mezzo nuove esperienze.

Stromboli mi ha accolta a metà giugno, lì ho finalmente lavorato alla Festa di Teatro EcoLogico ma la Penelope che è scesa dalla nave era diversa da quella degli altri anni. Quest’anno avevo bisogno di muovermi, esplorare, immergermi nel mare, contemplare Iddu da vicino, le sue esplosioni, ballare, fare i bagni di notte. L’energia, unica, che sento quando sono sull’isola l’ho fatta esplodere, ed è stato bellissimo!

La Sicilia è stata la mia terra per un mese. Da Capo d’Orlando ho visto tramonti infiniti, e da lì ho fatto avventure bellissime. Ho preso un aereo e mi sono goduta quattro giorni di solitudine a zonzo con lo scooter per Lampedusa, terra meravigliosa, bianca, con un mare azzurro ma così azzurro non lo avevo mai visto! Sono stata poi felice di uscire dalla mia solitudine per passare una settimana nella nera Linosa con la mia migliore amica e la sua piccola Dora. In bici l’ho girata tutta questa terra che si è formata dall’eruzione di antichi vulcani, ne sentivo l’energia, ho goduto della sua bellezza selvaggia.

Lampedusa

L’estate è terminata a Milano, con la mia sorellona guerriera, che in questo 2021 mi ha dato prova che non conta quello che ti succede ma come reagisci. E lei ha una forza da super woman!

Poi, di nuovo solitaria, sono andata sulle Dolomiti, nel “mio” Rifugio Falier a farmi coccolare, a mettermi alla prova e raggiungere delle vette che mi erano state ostili anni fa.

Quando a metà settembre sono tornata a casa, ero confusa per la bellezza di tutto quello che avevo vissuto.

E lo sono ancora.

Ho ripreso a lavorare, e ho capito che devo concentrarmi sugli obbiettivi. Non avrò mai un solo progetto, un solo e chiaro percorso, ma posso iniziare a immaginare come vorrei essere fra tre anni.

Credo che il 2020 mi abbia lasciato un grande desiderio di assaporare tutto. Ogni possibilità, ogni occasione. E che abbia tirato fuori da ognuno di noi tante di quelle informazioni su come siamo che dobbiamo darci il tempo per processarle, metterle in ordine.

Sento una forte spinta a fare, cambiare… ma devo saper aspettare “fino alle braci”. Nulla dipende solo da me (per fortuna!) e per costruire un futuro su delle basi solide serve tempo. Darsi e dare tempo affinché sia tutto realmente pronto.

A settembre è anche uscito l’ultimo libro di Chandra Candiani. Non credo sia un caso, io al caso non ci credo. Credo che io debba iniziare un nuovo percorso proprio partendo da quelle pagine disordinate

Una buona pratica preliminare di qualunque altra è la pratica della meraviglia. Esercitarsi a non sapere e a meravigliarsi. Guardarsi attorno e lasciar andare il concetto di albero, strada, casa, mare e guardare con sguardo che ignora il risaputo. Esercitare la meraviglia cura il cuore malato che ha potuto esercitare solo la paura.

Il mio cuore ha ripreso a battere e sognare.
Iniziamo presto i riti per salutare questo 2020+1! Preparatevi!

Imprevisto: riparti dal via

Eccomi qui. Mi sembra come se nel pieno di una partita a “Monopoli” avessi preso la carta degli imprevisti che diceva “Riparti dal via”.

Quella carta l’ho presa un paio di settimane fa, e mi sono ritrovata a Civitanova Marche, da dove a diciannove anni avevo preso un treno diretto a Bologna, certa che qui non ci sarei più tornata a vivere. Nel frattempo ho cambiato città, sono andata a Roma, ho iniziato la mia carriera, fatta di tanti stop e accelerazioni insperate, mi sono innamorata, ho progettato una vita che poi ho buttato al vento, ho iniziato un’avvincente vita da single sempre in viaggio che sembrava un’avventura pazzesca, finché una Pandemia non mi ha “regalato” il famoso “anno sabbatico” che nel nostro Paese sembrava una lusso per pochi fortunati… e poi ho preso la carta degli imprevisti.

In realtà questa decisione la covavo da giugno scorso. Per la prima volta, però, ho potuto prendermi del tempo per ascoltarmi, ragionare, e non fare cose di impulso.

Sono tornata a casa, più precisamente nella casa dei miei nonni, a due passi da quella dei miei genitori, dove ho passato la mia infanzia e adolescenza. Eravamo la famosa famiglia allargata italiana, i miei cugini sono come fratelli e sorelle, eravamo sempre tutti insieme a festeggiare e a condividere gioie e dolori. Questa casa era il centro di tutto perché qui c’erano i miei nonni. Fino al 2006, quando mia nonna, ormai sola, si è trasferita a vivere i suoi ultimi anni in compagnia a casa dei miei genitori, soli anche loro dato che io e mia sorella eravamo partite.

Da allora questa casa è rimasta chiusa. Solo tre mesi l’anno viene vissuta da degli sconosciuti. Quando sono arrivata alcune amiche mi hanno chiesto se non avessi “paura” a stare qui da sola: ma come potrei aver paura di stare nella casa in cui sono cresciuta?!

Appena arrivata ho sistemato le mie cose, miscelandole con quelle dei miei nonni che non abbiamo mai avuto il coraggio di buttare. Mi godo il lusso di una casa luminosa, grande, tutta per me. Ho una stanza per lavorare, una per cucinare, una per leggere e ascoltare la musica, una camera per dormire e un’altra pronta per ospitare chi vorrà venire a trovarmi appena si potrà. E poi posso passare a salutare i miei genitori quando voglio.

1942, il viaggio di nozze a Venezia dei mie nonni

Non ho intenzione di vivere tutto questo con eccessiva nostalgia. Conservo lucidi i ricordi dei momenti belli ma anche di quelli tristi, abbiamo sempre affrontato tutto insieme e anche la morte l’ho vista in faccia da quando ero piccola. So bene che proprio nel passato si annida il seme di tanti sensi di colpa che ho poi sviluppato nel tempo. Ma credo che ormai a quarant’anni ho fatto pace con quel lato oscuro. Stare qui, essere tornata nella città dalla quale ero scappata, con un mio personale bagaglio di esperienze, mi fa sentire fiera del percorso fatto. E mi aiuta a ricordare quali erano i miei sogni da bambina, quali sono le mie radici, e i miei valori.

Ogni bicchiere, tazza, foto, accende un ricordo. Non sono un’amante del vintage, anche se la mia famiglia tende ad accumulare. Io oscillo tra il tenere le cose da parte per anni e poi buttarle di botto. Ma qui ammetto che sto usando anche le stoviglie con riverenza.

Anche il resto della mia famiglia sta tornando a parlare del passato. Questa casa c’è sempre stata, ma il mio tornarci a vivere sta facendo in qualche modo rivivere anche i ricordi che qui sono custoditi.

Ritrovo le radici del mio essere accudente. La semplicità con cui mi metto a cucinare, improvvisando, ma sempre con una base di ricette di famiglia. Mi piace avvolgermi nella coperta fatta da mia nonna. Mi diverto ad appendere le mie opere: dove c’erano Santi e Madonne ora ci sono le mie donne ricamate. La luce calda che accendeva nonno la sera. La sua poltrona che mi avvolge.

Sto cercando di ricordare quando abbiamo smesso di desiderare di avere una famiglia allargata, una casa grande.

Scrive il poeta Franco Arminio:

Tornate al vostro paese, non c’è luogo più vasto. Tornate presto, non pensate se è conveniente per la vostra vita. Cominciate la grande migrazione al contrario. Avete una casa vuota che vi aspetta, la casa che vostro nonno ha costruito coi soldi dell’emigrazione: voi qui potete accendere la vita, altrove al massimo potete tirare avanti solo la vostra vita. Tornate, non dovete fare altro. Qui se ne sono andati tutti, specialmente chi è rimasto.

Non so quanto resterò qui, ma già queste due settimane sono state intense.
La notte ho anche ripreso a sognare!
Chissà dove mi condurrà tutto questo….

Essere protagonista

Si, lo so, non scrivo spesso.
Ma questa volta ho una giustificazione: stavo progettando un cambio vita assai importante.

Martedì ho lasciato Roma.

Una decisione ragionata, sofferta. Forse per la prima volta mi sono messa in ascolto di me stessa e ho assecondato quella sensazione di sofferenza che mi attanagliava da troppo tempo, e ho agito.

Agire. Muoversi. Prendere delle decisioni.

Chiusi in casa, sembra che abbiamo perso il controllo della nostra vita, ma in questi mesi ho capito che non è proprio così: solo noi possiamo decidere se essere vittime o protagoniste delle situazioni.

Il mio animo inquieto mi ha riportata al nastro di partenza. E dopo 21 anni sono tornata a casa mia, nelle Marche.
Un furgone con quarantuno scatoloni, uno per ogni anno della mia vita. Scarpe, libri, vestiti… sogni. Vedere tutte insieme le proprie cose fa un certo effetto!

Avevo bisogno di un cambiamento e volevo avere il mare vicino. Dato che ho la fortuna di avere a disposizione la casa dei miei nonni tutta per me, ho lasciato con dolore la mia stanza romana, la mia vita, i miei amici e i miei gatti (ma di questo non parlerò perché riprenderei a piangere) e con un viaggio di quattro ore mi sono catapultata in una nuova città. Certo, qui ci sono nata, ma ormai mi sento straniera. E’ da qui che a diciannove anni ho preso un treno, diretta a Bologna, a sognare di lavorare in teatro. E l’ho fatto! Io ho fatto tutto (o quasi) quello che sognavo di fare. Questi mesi di pandemia mi hanno da una parte fiaccata, ma soprattutto mi hanno rimessa in ascolto dei miei desideri.

E ho capito una cosa importante: non siamo alberi. Ci possiamo muovere. Andare, tornare. La vita, la nostra vita, è mobile. Perché allora ci fissiamo e ci inchiodiamo in scelte e progetti che magari non ci assomigliano più?

Non credo nell’indeterminato, nel per sempre.

Credo nella cura, nella conferma quotidiana, nell’ascolto.

Ecco qui. Penelope ha cambiato città. Non so per quanto tempo. Sarà così finché ne avrò voglia.

La cosa su cui sto più riflettendo è un mal celato “senso di colpa“. Sono serena, e questo mi fa sentire in colpa. Non credo sia un’anomalia. Credo che ognuno di noi ha sentito questa sensazione quando ha preso una nuova strada, soprattutto se non accolta con entusiasmo da chi lo circonda. Accolgo anche questa nuova sensazione e vado avanti.

C’è chi fa della “resistenza” una qualità. Resistere fino alla morte. Inizio a pensare che non abbia un’accezione così positiva. Sto invece cercando di abituarmi ai “vuoti”. Al lasciare andare. Alle mancanze. Di persone accanto, di abbracci. Al vuoto di un lavoro che non c’è. E quel vuoto credo vada vissuto, attraversato. Non per forza riempito.

Torna in nostro aiuto Mariangela Gualtieri

Chiedo la forza del tirarsi indietro
la forza d’ogni rinunciante, la forza
d’ogni digiunante e vegliante
la forza somma del non fare
del non dire del non avere del non sapere.
La forza del non, è quella che chiedo.
Non non non: che parola splendida
questo non.

Più leggera sono pronta a dire “sì” e assecondare nuovi progetti. Appena ci saranno. Intanto studio e ricamo…

Adesso

Adesso è il 9 marzo 2021.

Adesso guardo fuori dalla finestra, sempre la stessa da un anno (tranne alcune bellissime fughe), e piove.

Adesso mi sento bene, un pò spaventata, ma mi sento bene.

A un anno di distanza lo posso dire: il Covid io non l’ho ancora preso.
Lo sto, però, subendo.
Da quando, un anno fa, ho lasciato il mio ufficio e non c’ho più rimesso piede (e credo che non ce lo rimetterò più).
Da quando, un anno fa, ho smesso di abbracciare e baciare.

Ma un anno fa ho deciso che da questa pandemia ne sarei uscita migliore.
Adesso, oggi, ora, posso dire che così è stato.

Proseguo il mio percorso di ri-esistenza.

Adesso ho tanti sogni nuovi, aspirazioni e non voglio tornare a quello che prima consideravo “normale”.

Sto per fare delle scelte importanti, dolorose.
Ma adesso, oggi, ripercorro questi dodici mesi con la memoria e mi commuovo.
Abbraccio Fischio (il gatto che adesso è mio, domani non lo so) e lo ringrazio per essermi stato vicino in questo anno assurdo e per avermi insegnato a “stare” senza attaccamento.

Non tutti oggi hanno questa sensazione di serenità che ho io.
Ma io, permettetemi, me la sono guadagnata col sudore, le lacrime versate, la tigna che mi contraddistingue.

Adesso dico che sono stanca di essere nel “limbo ” della cassa integrazione. Che non sono “fortunata perché almeno io prendo dei soldi”. Non c’entra la fortuna, la fortuna non esiste. Sono stati i sacrifici e i compromessi, è stato il coraggio con cui ho creato il mio personale percorso. Ho fatto tantissimi errori, ma rivendico tutto.
Non sono beata, la beatitudine arriva quando sei felice del tuo lavoro, hai dei progetti, una prospettiva. Io prendo un sussidio per non fare nulla, ma tutto questo mi schiaccia e mi impoverisce, anche economicamente. E da questa situazione voglio uscire il prima possibile.

Mi manca il teatro. Mi manca la mia comunità.

Ma da qui, adesso, ricomincio. Ancora una volta.
Può una pandemia compiere gli anni? Boh, questa pare di sì. E sembra anche che non voglia morire (sinceramente non ho mai augurato la morte a nessuno, ma al Covid si).

Non voglio più perdere tempo, ogni mia azione voglio che sia coerente al il mio sentire.
Mi fa paura chi non è cambiato. Se nemmeno una pandemia ci ha portati a cambiare il nostro stare in questo mondo… beh…. allora abbiamo un grosso problema.

Adesso, oggi, riparto dalla Maestra Mariangela Gualtieri

Adesso

Adesso è forse il tempo della cura. Dell’aver cura di noi, di dire noi. Un molto largo pronome in cui tenere insieme i vivi, tutti: quelli che hanno occhi, quelli che hanno ali, quelli con le radici e con le foglie, quelli dentro i mari, e poi tutta l’acqua, averla cara, e l’aria e più di tutto lei, la feconda, la misteriosa terra. È lì che finiremo. Ci impasteremo insieme a tutti quelli che sono stati prima. Terra saremo. Guarda lì dove dialoga col cielo con che sapienza e cura cresce un bosco. Si può pensare che forse c’è mancanza di cura lì dove viene esclusa l’energia femminile dell’umano. Per quella energia sacrificata, nella donna e nell’uomo, il mondo forse s’è sgraziato, l’animale che siamo s’è tolto un bene grande. Chi siamo noi? Apriamo gli occhi. Ogni millimetro di cosmo pare centro del cosmo, tanto è ben fatto tanto è prodigioso. Chi siamo noi, ti chiedo, umane e umani? Perché pensiamo d’essere meglio di tutti gli altri? Senza api o lombrichi la vita non si tiene ma senza noi, adesso lo sappiamo, tutto procede. Pensa la primavera scorsa, son bastati tre mesi – il cielo, gli animali nelle nostre città, la luce, tutto pareva ridere di noi. Come liberato dall’animale strano che siamo, arrivato da poco, feroce come nessuno. Teniamo prigionieri milioni e milioni di viventi e li maltrattiamo. Poi ce li mangiamo, poveri malati che a volte non sanno stare in piedi tanto li abbiamo tirati su deformi – per un di più di petto, per più latte. Chi siamo noi ti chiedo ancora. Intelligenze, sì, pensiero, quelli con le parole. Ma non vedi come non promettiamo durata? Come da soli ci spingiamo fuori dalla vita. Come logoriamo lo splendore di questo tiepido luogo, infettando tutto e intanto confliggiamo fra di noi. Consideriamo il dolore degli altri e delle altre specie. E la disarmonia che quasi ovunque portiamo. Forse imparare dall’humus l’umiltà. Non è un inchino. È sentirsi terra sulla nobile terra impastati di lei. Di lei devoti ardenti innamorati. Dovremmo innamorarci, credo. Sì. Di ciò che è vivo intorno. E in primo luogo vederlo. Non esser concentrati solo su noi. Il meglio nostro di specie sta davanti, non nel passato. L’età dell’oro è un ricordo che viene dal futuro. Diventeremo cosa? È una grande avventura, di spirito, di carne, di pensiero, un’ascesa ci aspetta. Eravamo pelo musi e code. Diventeremo cosa? Diremo io o noi? E quanto grande il noi quanto popolato? Che delicata mano ci vuole ora, e che passo leggero, e mente acuta, pensiero spalancato al bene. Studiamo. Impariamo dal fiore, dall’albero piantato, da chi vola. Hanno una grazia che noi dimentichiamo. Cura d’ogni cosa, non solo dell’umano. Tutto ci tiene in vita. Tutto fa di noi quello che siamo.

2020 + 1

Questo “nuovo anno” (almeno in questi primi giorni!) sembra il 2020 mascherato. Sono anni che non faccio buoni propositi per il nuovo anno e mai come in questo periodo siamo ancora imbrigliati dal Covid e dalle modalità di non-vita che comporta essere in pandemia.

Negli ultimi giorni del calendario 2020 ho provato a fare una raccolta dei ricordi dei dodici mesi precedenti nella pagina facebook di Penelope. Perché credo sia importante uscire dalla narrazione collettiva che tende a semplificare le cose. Non possiamo archiviare il 2020 come “un anno da cancellare”. Io non cancello un bel niente! Anzi, credo che il modo con cui abbiamo affrontato un virus, che non dipende da noi, dica molto del nostro carattere e del nostro modo di vivere.

Nell’archivio 2020 spicca il mio viaggio in Brasile, nato per festeggiare i 20+20. Quarant’anni passati per lo più in quarantena… eppure sono arrivata a Rio De Janeiro e nei mesi tra un lockdown all’altro sono tonata a Stromboli, sono andata a Venezia (ho anche preso una gondola!), sono andata per la prima volta a Genova, tornata a Padova, Milano e nel mio amato Rifugio Falier! Nonostante la distanza, il calore e il supporto delle mie amiche, della mia famiglia, sono state fondamentali. E ho studiato. Di tutto, manca solo l’inglese, per il resto ho fatto lunghe sessioni di studio, ho anche preso un diploma in alta formazione. Ho iniziato a ricamare. Mi sono scoperta fragile, e l’ho detto, a voce alta. Ho avuto paura, e ne ho ancora tanta.

la prima alba del 2021

Ora che ho un’agenda nuova, non ho progetti chiari per il futuro. In cima c’è ancora lo studio dell’inglese (!!) e tanta determinazione a raggiungere l’unico obiettivo importante: ESSERE FELICE.

Mi sento fortunata. Ho superato il 2020, la mia famiglia sta bene.
Non dobbiamo però sottovalutare lo stress psicologico in cui ci troviamo costantemente. Meditare, riflettere, chiederci ogni momento “come sto?”. Credo il 2020 ci ha dato la grande possibilità di smettere di essere performativi. Che va bene anche essere fragili, andare piano.

La prima parola a cui ho dedicato il 2021 è CONSAPEVOLEZZA. Di noi, delle nostre azioni, dei nostri sentimenti, di chi abbiamo accanto.
La seconda è CRESCITA. Personale, umana.

Dal 2020 ho anche riacquistato un grande amore per la vita. Quindi voto il 2021 al vivere fino in fondo. Senza freni, “... fino allo scortico“, come dice la Maestra Mariangela Gualtieri.

Io sono solo stanca di essere arrabbiata. Eppure lo sono, perché sono in cassa integrazione e i soldi non arrivano, mi hanno trasformata in una mendicante mentre io sono una donna molto orgogliosa. Ma faccio un gesto di umiltà, e vado avanti. Sono arrabbiata perché c’è chi si approfitta di questo tempo per arricchirsi sulle spalle degli altri, per le ingiustizie. Sono arrabbiata per la violenza, soprattutto verso le donne e i deboli. Quindi devo trovare un modo per trasformare questa rabbia in qualcosa di costruttivo.

E auguro a tutti voi che leggete queste mie righe di avere con voi un bagaglio consono al nuovo anno, alleggerito dalle paturnie, problemi, zavorre e vampiri che vi hanno appesantito negli scorsi anni.

Vi saluto con un augurio firmato Chandra Livia Candiani:

Non voglio imparare a non aver paura, voglio imparare a tremare. Non voglio imparare a tacere, voglio assaporare il silenzio da cui ogni parola vera nasce. Non voglio imparare a non arrabbiarmi, voglio sentire il fuoco, circondarlo di trasparenza che illumini quello che gli altri mi stanno facendo e quello che posso fare io. Non voglio accettare, voglio accogliere e rispondere. Non voglio essere buona, voglio essere sveglia. Non voglio fare male, voglio dire: mi stai facendo male, smettila. Non voglio diventare migliore, voglio sorridere al mio peggio. Non voglio essere un’altra, voglio adottarmi tutta intera. Non voglio pacificare tutto, voglio esplorare la realtà anche quando fa male, voglio la verità di me. Non voglio insegnare, voglio accompagnare. Non è che voglio così, è che non posso fare altro

inseminare gioia

Ammetto che questa settimana è stata dura. Mantenere un pensiero ottimista richiede tanta fantasia, soprattutto in questo momento. Sul piano Covid i numeri aumentano, e ora dietro a quei numeri ci sono anche i volti di persone amiche. Pezzi di cuore “positivi”, ma non nell’accezione che piace a me. E tanti amici, invece, sono “negativi”, con pensieri funesti. Non farsi travolgere è veramente difficile. Ma la paura va affrontata e percorsa.

La mente è come uno specchio: quando siamo con persone positive lo diventiamo anche noi. E questo succede anche con le persone negative. Ma è importante ricordare che anche noi lo siamo e abbiamo una responsabilità verso chi ci circonda. Se continuiamo ad essere pessimisti sul futuro vedremo attorno a noi una coltre nera avvolgerci, e non c’è niente di più respingente.

Non mi fraintendete, non dico che dobbiamo girare tutti con una faccia da ebete che ride senza senso! Io mi sforzo di “inseminare gioia“, come dice la Maestra Mariangela Gualtieri

C’è nella tristezza un contagio
amore mio, e da questo si vede
che abbiamo fatto comune cuore
e siamo uno che pare due.
Allora io
insemino la gioia
in questa cosa che non consiste
però esiste e tiene entrambi appesi.
La gioia ce la metto io.

Non è bellissimo? Ma come si fa, in concreto? Eh, a saperlo con precisione sarei la donna più felice del mondo! Ma posso provare a portare la mia esperienza.

Partiamo dal presupposto che è normale, soprattutto in questo periodo, stare male, avere paura. Reprime i sentimenti o ritenerli “sbagliati” crea maggiore frustrazione. Accogliamo questo tempo e le sfumature umorali che ci crea. Non esistono sentimenti buoni o cattivi, ma solo ciò che sentiamo in un determinato momento, anche in risposta a situazioni che ci tocca subire, come questo. Prendiamo una pausa, chiudiamoci in ascolto di noi stessi in solitudine, attraversiamo il momento.
Ho scoperto che non tutto gira attorno a me, e questo alleggerisce di molto la responsabilità.
Sto cercando di lavorare sui maledetti sensi di colpa: io ne sono sempre stata imprigionata, e senza rendermene conto li utilizzavo per manipolare chi mi circonda.
Ho imparato a respirare: inspira, espira. Una cosa apparentemente banale, ma farlo consapevolmente aiuta a centrarsi sul presente. Sentire di essere qui, ora. Nel posto giusto al momento giusto.
Ho imparato a piangere. A chiedere aiuto.
A immergermi nella natura e a staccare il più possibile dal cellulare (questo l’ho imparato sulle Dolomiti!)
Sono di più in ascolto di me stessa. Incredibile quanto essere assertivi aiuti a stare bene. Sena forzarsi a fare cose, stare in posti o con persone che non ci assomigliano. “Seguire il ritmo”, il proprio ritmo.
C’è un’altra cosa che mi dà serenità e la dona a chi ho accanto: esserci. Essere una presenza vera, pronta a sostenere chi ha difficoltà. Sapendo cosa significa aver bisogno di avere una spalla su cui piangere, quando posso, divento io quella spalla. Con un sorriso, che scalda il cuore.

E poi, sono molto fortunata: ho due gatti in casa, fonte di serenità e gioia immensa! A pensarci bene, forse sono stati loro che mi hanno insegnato, con il loro modo di essere “egoisti” e sinceri, tutte queste cose. In questo periodo di maggiore solitudine, sono loro il mio specchio. Amano la loro libertà e ci insegnano a rispettarla e a praticarla. Sono autonomi, sanno cosa vogliono, e si prendono grandi momenti di riflessione. Si, dobbiamo imparare da loro!

Se ci concentriamo, scopriamo che possiamo trovare dei motivi per essere felici, o almeno sereni. Bisogna “solo” imparare ad accoglierci, senza lottare sempre contro noi stessi. Accettare che assomigliamo solo a noi stessi regala un grandissimo senso di libertà. E uno sguardo sereno regala serenità.
Tempo fa avevo iniziato un barattolo della felicità, in cui inserire foglietti con scritto quello che mi faceva felice. L’intento era di scrivere una cosa ogni giorno, e quando non mi veniva in mente nulla, tirare fuori uno di quei biglietti. Come tante cose l’ho lasciato in sospeso, in bella vista sul mio comodino. Beh! Approfitto di questo articolo per prendere l’impegno di ricominciare oggi stesso.

Vi auguro di trovare il vostro sguardo sereno, io sul mio ci sto lavorando molto!