Apologia del fallimento

Roma, ottobre 2020

A un passo da un nuovo possibile lock down, dopo un’estate a correre incontro alla vita, nei luoghi del cuore, a cercare le mie persone, quelle che amo e stimo, che in quarantena mi hanno (spesso inconsapevolmente) dato un motivo per non mollare, provo a progettare il futuro. Sono in uno dei tanti momenti di confusione, in cui mi chiedo cosa voglio, chi sono… mi domando da dove ricominciare. Per farlo mi guardo indietro, perchè è importante, per ri-esistere, ricordare da dove si viene.

E nel guardare il mio percorso mi viene naturale ricordare e festeggiare le vittorie e gli obiettivi raggiunti. E i fallimenti? quanto ho imparato da loro? Mi sorprendo a scoprire che nella fragilità della sconfitta mi sono sempre rialzata e mi sono scoperta più forte, riprendendo il percorso con più forza e volontà.

Perché, allora, appendiamo solo le lauree e le foto dei bei momenti ma non celebriamo anche quei fallimenti che ci hanno aiutati a scoprire veramente chi siamo?

Nel fallimento troppo spesso siamo soli. Non si esce a festeggiare… non si condivide volentieri un errore. Nella solitudine, però, ci si può mettere in ascolto, fermarsi per fare bilanci e chiedersi se poi, in fondo, non sia stato un bene non ottenere quello che tanto si desiderava. Poi rialzarsi e ripartire, aggrappati ai propri valori e sogni.

Ecco: io sento di essere esattamente dove volevo essere. Sembra assurdo, ma in questo momento difficile sono il frutto di tutti i desideri espressi. A questo punto, ironicamente, mi verrebbe da dire che non sono brava ad esprimere i desideri! Oppure semplicemente…. che non siamo noi a decidere nulla. Ci viene naturale imputare alla sfortuna degli accadimenti imprevisti che vanno contro i nostri piani, ma in realtà è solo la vita!

Rifletto sul “fallimento”.

“fallire”
Non giungere a realizzazione o a compimento.
Non riuscire nel proprio intento, non raggiungere lo scopo desiderato.

In una società performativa come la nostra, il fallimento non è mai contemplato. E’ una vergogna da nascondere. Piango ogni volta che leggo di persone che addirittura si tolgono la vita perché “hanno fallito”.

Io voglio portare con fierezza le mie cicatrici. Arrendermi all’inevitabilità che anche il peggio può accadere. Voglio piangere quando sbaglio, fermarmi per un pò. Sciogliere i legami e le promesse del “per sempre” che faccio ogni volta con i progetti che intraprendo. E poi godere la serenità dell’andare avanti senza nessuna meta, finché non arriva la nuova idea, i nuovi occhi che ti rapiscono, il nuovo battito di cuore.
A volte fa più male, a volte meno.

Guardare in faccia il mondo e dire: “sì, ho sbagliato, ho fallito… e allora?”

Nell’arco del miei 20+20 anni di fallimenti ne ho avuti tanti. Sono un fallimento vivente se paragono il mio presente ai progetti che avevo fatto tanto tempo fa. Se mi paragono alla donna che “sarei dovuta essere” per la società.

Eppure, mi guardo allo specchio e non ho mai avuto uno sguardo più sereno! E serenamente vado incontro a un futuro incerto. Perché in quella incertezza ci vedo una possibilità: la possibilità di essere felice.

Mi rendo conto, infine, di provare più stima per chi è riuscito a rialzarsi dopo una caduta. La bellezza e la luce che brilla negli occhi di chi ha avuto la forza di tirarsi indietro, di mollare, lasciare la presa. E’ la stessa che vorrei vedere sempre brillare nei miei occhi.

“Chi è in grado di distinguere quando è il momento di dare battaglia e quando non lo è riuscirà vittorioso”, dice Sun Tzu ne “L’Arte della Guerra”. Anche accettare il fallimento e abbandonare il campo con orgoglio è una vittoria. Andarsene, mollare la presa, e proseguire, più leggeri, certo frastornati, ma sani e salvi.

Quanti progetti avviati che sono naufragati. Storie d’amore finite. Amicizie che ci hanno traditi. Lavori persi (!!).
Per me il vero fallimento è non provare. E’ farsi prendere dal panico e dalla paura. Se è solo la vittoria che ci interessa, allora fa paura iniziare. Se invece è il percorso… allora avremo comunque vinto.

Spesso proviamo invidia per quelle persone che si mostrano vincenti. Ma che senso ha nascondere la propria fragilità? Chi è sempre felice, per me, è un imbroglione. Chi è frutto del proprio percorso di vita, che inevitabilmente conta anche delle sconfitte, è veramente forte.

Ciao, sono Stefania.
Ho 20+20 anni, ho fatto tanti sbagli e ho fallito su tanti fronti. Eppure sono felice e fiera di me. Eppure ancora ci credo che il futuro può essere migliore. Affronto il presente aspettandomi il peggio e sperando per il meglio, cercando il lato positivo. Non mi vergogno di piangere e non mi vergogno di ridere. Sono grata a tutti gli incontri fortunati e a quelli sfortunati, perchè grazie a loro ho imparato tanto.
E ora scusate… ma devo rincorrere la mia felicità.

E voi? che rapporto avete con i vostri fallimenti?

Un pensiero su “Apologia del fallimento

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