inseminare gioia

Ammetto che questa settimana è stata dura. Mantenere un pensiero ottimista richiede tanta fantasia, soprattutto in questo momento. Sul piano Covid i numeri aumentano, e ora dietro a quei numeri ci sono anche i volti di persone amiche. Pezzi di cuore “positivi”, ma non nell’accezione che piace a me. E tanti amici, invece, sono “negativi”, con pensieri funesti. Non farsi travolgere è veramente difficile. Ma la paura va affrontata e percorsa.

La mente è come uno specchio: quando siamo con persone positive lo diventiamo anche noi. E questo succede anche con le persone negative. Ma è importante ricordare che anche noi lo siamo e abbiamo una responsabilità verso chi ci circonda. Se continuiamo ad essere pessimisti sul futuro vedremo attorno a noi una coltre nera avvolgerci, e non c’è niente di più respingente.

Non mi fraintendete, non dico che dobbiamo girare tutti con una faccia da ebete che ride senza senso! Io mi sforzo di “inseminare gioia“, come dice la Maestra Mariangela Gualtieri

C’è nella tristezza un contagio
amore mio, e da questo si vede
che abbiamo fatto comune cuore
e siamo uno che pare due.
Allora io
insemino la gioia
in questa cosa che non consiste
però esiste e tiene entrambi appesi.
La gioia ce la metto io.

Non è bellissimo? Ma come si fa, in concreto? Eh, a saperlo con precisione sarei la donna più felice del mondo! Ma posso provare a portare la mia esperienza.

Partiamo dal presupposto che è normale, soprattutto in questo periodo, stare male, avere paura. Reprime i sentimenti o ritenerli “sbagliati” crea maggiore frustrazione. Accogliamo questo tempo e le sfumature umorali che ci crea. Non esistono sentimenti buoni o cattivi, ma solo ciò che sentiamo in un determinato momento, anche in risposta a situazioni che ci tocca subire, come questo. Prendiamo una pausa, chiudiamoci in ascolto di noi stessi in solitudine, attraversiamo il momento.
Ho scoperto che non tutto gira attorno a me, e questo alleggerisce di molto la responsabilità.
Sto cercando di lavorare sui maledetti sensi di colpa: io ne sono sempre stata imprigionata, e senza rendermene conto li utilizzavo per manipolare chi mi circonda.
Ho imparato a respirare: inspira, espira. Una cosa apparentemente banale, ma farlo consapevolmente aiuta a centrarsi sul presente. Sentire di essere qui, ora. Nel posto giusto al momento giusto.
Ho imparato a piangere. A chiedere aiuto.
A immergermi nella natura e a staccare il più possibile dal cellulare (questo l’ho imparato sulle Dolomiti!)
Sono di più in ascolto di me stessa. Incredibile quanto essere assertivi aiuti a stare bene. Sena forzarsi a fare cose, stare in posti o con persone che non ci assomigliano. “Seguire il ritmo”, il proprio ritmo.
C’è un’altra cosa che mi dà serenità e la dona a chi ho accanto: esserci. Essere una presenza vera, pronta a sostenere chi ha difficoltà. Sapendo cosa significa aver bisogno di avere una spalla su cui piangere, quando posso, divento io quella spalla. Con un sorriso, che scalda il cuore.

E poi, sono molto fortunata: ho due gatti in casa, fonte di serenità e gioia immensa! A pensarci bene, forse sono stati loro che mi hanno insegnato, con il loro modo di essere “egoisti” e sinceri, tutte queste cose. In questo periodo di maggiore solitudine, sono loro il mio specchio. Amano la loro libertà e ci insegnano a rispettarla e a praticarla. Sono autonomi, sanno cosa vogliono, e si prendono grandi momenti di riflessione. Si, dobbiamo imparare da loro!

Se ci concentriamo, scopriamo che possiamo trovare dei motivi per essere felici, o almeno sereni. Bisogna “solo” imparare ad accoglierci, senza lottare sempre contro noi stessi. Accettare che assomigliamo solo a noi stessi regala un grandissimo senso di libertà. E uno sguardo sereno regala serenità.
Tempo fa avevo iniziato un barattolo della felicità, in cui inserire foglietti con scritto quello che mi faceva felice. L’intento era di scrivere una cosa ogni giorno, e quando non mi veniva in mente nulla, tirare fuori uno di quei biglietti. Come tante cose l’ho lasciato in sospeso, in bella vista sul mio comodino. Beh! Approfitto di questo articolo per prendere l’impegno di ricominciare oggi stesso.

Vi auguro di trovare il vostro sguardo sereno, io sul mio ci sto lavorando molto!

un punto alla volta

… un filo alla volta. Per ricucire, per creare, per meditare.

Questa è la mia nuova passione. Non dico l’ultima, perché nel frattempo so che ne sto già covando di nuove. Ma ora è questo che faccio, a casa, nei momenti di silenzio. Prendo ago e filo, nero. Una tela. La mia preferita è un banale cencio della nonna. E ci cucio disegni e parole che parlano di me.

E’ iniziato tutto in lock down, ma in realtà è iniziato anni fa, al Teatro Biblioteca Quarticciolo, quando grazie a Barbara della Polla ho conosciuto Maria Lai, artista sarda con una grande sensibilità, che creava arte con quanto trovava, fili e tessuti in particolare. A gennaio di quest’anno sono andata a vedere una mostra dedicata a lei. Il cuore mi esplodeva.

NON IMPORTA SE NON CAPISCI, SEGUI IL RITMO (Maria Lai)

Sono parole che mi rimbombano in testa ogni giorno, ogni volta che non capisco cosa sta succedendo. Vado avanti, seguo il ritmo. Così ho fatto a marzo: chiusa in casa, ho preso ago e filo per cucire un buco nella tasca della giacca. E poi tutto è proseguito in modo naturale: ho preso una borsa di tela, l’ho tagliata e ho c’ho scritto la poesia di Mariangela Gualetieri, “Nove Marzo Duemilaventi” e ho ricucito le parole.
In questi mesi ho cucito cuori, con frasi di poesie, ispirate dalle persone che amo. Ma in realtà, stavo ricucendo il mio di cuore. E lo faccio ogni giorno. Lentamente. Un passo alla volta.

PRENDI IL TUO CUORE SPEZZATO E FANNE UN ARTE (Carrie Fisher)

Nel mio ultimo articolo parlavo di “cicatrici”. Nel confronto con alcune lettrici (oddio, che emozione sapere che qualcuno legge queste mie righe!) ci siamo chieste che cosa sono queste cicatrici: segno del male che abbiamo subito, o di quello che abbiamo arrecato noi?

Vittime e carnefici.

Io so di aver fatto del male, e so di averne subito tanto. Ma riconosco che spesso è stato frutto della fragilità. Ho chiesto scusa a chi ho ferito e ho cercato di regalare il perdono a chi mi ha fatto del male. Sono andata avanti, sto andando avanti. Ora cerco di essere più delicata. Verso gli altri e verso me stessa.

La maggior parte delle volte è delusione. Delusione per le aspettative infrante e i sogni disillusi. Perché ad ogni incontro, ad ogni lavoro, ad ogni viaggio, ci aspettiamo che tutto vada come vorremmo noi.
Allora cucio. Cucio il mio cuore. Cucio insieme i miei pensieri. Cerco il filo della matassa. Questo blog è nato proprio per dire ad alta voce, e a me stessa, che va bene così. Va bene uscire da sola. Va bene essere forte e pensare a me stessa. Va bene se in alcuni momenti ci sentiamo a pezzi. Non è nostra la responsabilità delle cose ci accadono, ma è nostra la responsabilità di come reagiamo. Continuare ad essere “vittime” non ci farà guarire.

Io reagisco così ai momenti di solitudine. Sorridendo. A prescindere, sorrido. E ora cucio. Ogni punto è un passo nel vuoto. Hai un disegno da seguire, ma devi concentrarti per andare nel verso giusto. Per quanti progetti fai prima, disegni, bozzetti, il risultato finale è un mistero. Se cambi filo, stoffa, è come ricominciare ogni volta d’accapo. Eppure il finale è sorprendente!

Ho tre spiriti guida: Maria Lai, Mariangela Gualtieri e Chandra Livia Candiani. Oggi Penelope vuole salutarvi con una poesia di quest’ultima:

Dove ti sei perduta
da quale dove non torni,
assediata
bruci senza origine.
Questo fuoco
deve trovare le sue parole
pronunciare condizioni
di smarrimento dire:
“Sei l’unica me che ho
torna a casa”

L’importante è fare il primo passo, mettere il primo punto. Soprattutto in questo periodo di grande incertezza, in cui nulla dipende da noi. Seguiamo il ritmo…

Apologia del fallimento

Roma, ottobre 2020

A un passo da un nuovo possibile lock down, dopo un’estate a correre incontro alla vita, nei luoghi del cuore, a cercare le mie persone, quelle che amo e stimo, che in quarantena mi hanno (spesso inconsapevolmente) dato un motivo per non mollare, provo a progettare il futuro. Sono in uno dei tanti momenti di confusione, in cui mi chiedo cosa voglio, chi sono… mi domando da dove ricominciare. Per farlo mi guardo indietro, perchè è importante, per ri-esistere, ricordare da dove si viene.

E nel guardare il mio percorso mi viene naturale ricordare e festeggiare le vittorie e gli obiettivi raggiunti. E i fallimenti? quanto ho imparato da loro? Mi sorprendo a scoprire che nella fragilità della sconfitta mi sono sempre rialzata e mi sono scoperta più forte, riprendendo il percorso con più forza e volontà.

Perché, allora, appendiamo solo le lauree e le foto dei bei momenti ma non celebriamo anche quei fallimenti che ci hanno aiutati a scoprire veramente chi siamo?

Nel fallimento troppo spesso siamo soli. Non si esce a festeggiare… non si condivide volentieri un errore. Nella solitudine, però, ci si può mettere in ascolto, fermarsi per fare bilanci e chiedersi se poi, in fondo, non sia stato un bene non ottenere quello che tanto si desiderava. Poi rialzarsi e ripartire, aggrappati ai propri valori e sogni.

Ecco: io sento di essere esattamente dove volevo essere. Sembra assurdo, ma in questo momento difficile sono il frutto di tutti i desideri espressi. A questo punto, ironicamente, mi verrebbe da dire che non sono brava ad esprimere i desideri! Oppure semplicemente…. che non siamo noi a decidere nulla. Ci viene naturale imputare alla sfortuna degli accadimenti imprevisti che vanno contro i nostri piani, ma in realtà è solo la vita!

Rifletto sul “fallimento”.

“fallire”
Non giungere a realizzazione o a compimento.
Non riuscire nel proprio intento, non raggiungere lo scopo desiderato.

In una società performativa come la nostra, il fallimento non è mai contemplato. E’ una vergogna da nascondere. Piango ogni volta che leggo di persone che addirittura si tolgono la vita perché “hanno fallito”.

Io voglio portare con fierezza le mie cicatrici. Arrendermi all’inevitabilità che anche il peggio può accadere. Voglio piangere quando sbaglio, fermarmi per un pò. Sciogliere i legami e le promesse del “per sempre” che faccio ogni volta con i progetti che intraprendo. E poi godere la serenità dell’andare avanti senza nessuna meta, finché non arriva la nuova idea, i nuovi occhi che ti rapiscono, il nuovo battito di cuore.
A volte fa più male, a volte meno.

Guardare in faccia il mondo e dire: “sì, ho sbagliato, ho fallito… e allora?”

Nell’arco del miei 20+20 anni di fallimenti ne ho avuti tanti. Sono un fallimento vivente se paragono il mio presente ai progetti che avevo fatto tanto tempo fa. Se mi paragono alla donna che “sarei dovuta essere” per la società.

Eppure, mi guardo allo specchio e non ho mai avuto uno sguardo più sereno! E serenamente vado incontro a un futuro incerto. Perché in quella incertezza ci vedo una possibilità: la possibilità di essere felice.

Mi rendo conto, infine, di provare più stima per chi è riuscito a rialzarsi dopo una caduta. La bellezza e la luce che brilla negli occhi di chi ha avuto la forza di tirarsi indietro, di mollare, lasciare la presa. E’ la stessa che vorrei vedere sempre brillare nei miei occhi.

“Chi è in grado di distinguere quando è il momento di dare battaglia e quando non lo è riuscirà vittorioso”, dice Sun Tzu ne “L’Arte della Guerra”. Anche accettare il fallimento e abbandonare il campo con orgoglio è una vittoria. Andarsene, mollare la presa, e proseguire, più leggeri, certo frastornati, ma sani e salvi.

Quanti progetti avviati che sono naufragati. Storie d’amore finite. Amicizie che ci hanno traditi. Lavori persi (!!).
Per me il vero fallimento è non provare. E’ farsi prendere dal panico e dalla paura. Se è solo la vittoria che ci interessa, allora fa paura iniziare. Se invece è il percorso… allora avremo comunque vinto.

Spesso proviamo invidia per quelle persone che si mostrano vincenti. Ma che senso ha nascondere la propria fragilità? Chi è sempre felice, per me, è un imbroglione. Chi è frutto del proprio percorso di vita, che inevitabilmente conta anche delle sconfitte, è veramente forte.

Ciao, sono Stefania.
Ho 20+20 anni, ho fatto tanti sbagli e ho fallito su tanti fronti. Eppure sono felice e fiera di me. Eppure ancora ci credo che il futuro può essere migliore. Affronto il presente aspettandomi il peggio e sperando per il meglio, cercando il lato positivo. Non mi vergogno di piangere e non mi vergogno di ridere. Sono grata a tutti gli incontri fortunati e a quelli sfortunati, perchè grazie a loro ho imparato tanto.
E ora scusate… ma devo rincorrere la mia felicità.

E voi? che rapporto avete con i vostri fallimenti?