Adesso è il 9 marzo 2021.
Adesso guardo fuori dalla finestra, sempre la stessa da un anno (tranne alcune bellissime fughe), e piove.
Adesso mi sento bene, un pò spaventata, ma mi sento bene.
A un anno di distanza lo posso dire: il Covid io non l’ho ancora preso.
Lo sto, però, subendo.
Da quando, un anno fa, ho lasciato il mio ufficio e non c’ho più rimesso piede (e credo che non ce lo rimetterò più).
Da quando, un anno fa, ho smesso di abbracciare e baciare.
Ma un anno fa ho deciso che da questa pandemia ne sarei uscita migliore.
Adesso, oggi, ora, posso dire che così è stato.
Proseguo il mio percorso di ri-esistenza.

Adesso ho tanti sogni nuovi, aspirazioni e non voglio tornare a quello che prima consideravo “normale”.
Sto per fare delle scelte importanti, dolorose.
Ma adesso, oggi, ripercorro questi dodici mesi con la memoria e mi commuovo.
Abbraccio Fischio (il gatto che adesso è mio, domani non lo so) e lo ringrazio per essermi stato vicino in questo anno assurdo e per avermi insegnato a “stare” senza attaccamento.
Non tutti oggi hanno questa sensazione di serenità che ho io.
Ma io, permettetemi, me la sono guadagnata col sudore, le lacrime versate, la tigna che mi contraddistingue.
Adesso dico che sono stanca di essere nel “limbo ” della cassa integrazione. Che non sono “fortunata perché almeno io prendo dei soldi”. Non c’entra la fortuna, la fortuna non esiste. Sono stati i sacrifici e i compromessi, è stato il coraggio con cui ho creato il mio personale percorso. Ho fatto tantissimi errori, ma rivendico tutto.
Non sono beata, la beatitudine arriva quando sei felice del tuo lavoro, hai dei progetti, una prospettiva. Io prendo un sussidio per non fare nulla, ma tutto questo mi schiaccia e mi impoverisce, anche economicamente. E da questa situazione voglio uscire il prima possibile.
Mi manca il teatro. Mi manca la mia comunità.
Ma da qui, adesso, ricomincio. Ancora una volta.
Può una pandemia compiere gli anni? Boh, questa pare di sì. E sembra anche che non voglia morire (sinceramente non ho mai augurato la morte a nessuno, ma al Covid si).
Non voglio più perdere tempo, ogni mia azione voglio che sia coerente al il mio sentire.
Mi fa paura chi non è cambiato. Se nemmeno una pandemia ci ha portati a cambiare il nostro stare in questo mondo… beh…. allora abbiamo un grosso problema.
Adesso, oggi, riparto dalla Maestra Mariangela Gualtieri
Adesso
Adesso è forse il tempo della cura. Dell’aver cura di noi, di dire noi. Un molto largo pronome in cui tenere insieme i vivi, tutti: quelli che hanno occhi, quelli che hanno ali, quelli con le radici e con le foglie, quelli dentro i mari, e poi tutta l’acqua, averla cara, e l’aria e più di tutto lei, la feconda, la misteriosa terra. È lì che finiremo. Ci impasteremo insieme a tutti quelli che sono stati prima. Terra saremo. Guarda lì dove dialoga col cielo con che sapienza e cura cresce un bosco. Si può pensare che forse c’è mancanza di cura lì dove viene esclusa l’energia femminile dell’umano. Per quella energia sacrificata, nella donna e nell’uomo, il mondo forse s’è sgraziato, l’animale che siamo s’è tolto un bene grande. Chi siamo noi? Apriamo gli occhi. Ogni millimetro di cosmo pare centro del cosmo, tanto è ben fatto tanto è prodigioso. Chi siamo noi, ti chiedo, umane e umani? Perché pensiamo d’essere meglio di tutti gli altri? Senza api o lombrichi la vita non si tiene ma senza noi, adesso lo sappiamo, tutto procede. Pensa la primavera scorsa, son bastati tre mesi – il cielo, gli animali nelle nostre città, la luce, tutto pareva ridere di noi. Come liberato dall’animale strano che siamo, arrivato da poco, feroce come nessuno. Teniamo prigionieri milioni e milioni di viventi e li maltrattiamo. Poi ce li mangiamo, poveri malati che a volte non sanno stare in piedi tanto li abbiamo tirati su deformi – per un di più di petto, per più latte. Chi siamo noi ti chiedo ancora. Intelligenze, sì, pensiero, quelli con le parole. Ma non vedi come non promettiamo durata? Come da soli ci spingiamo fuori dalla vita. Come logoriamo lo splendore di questo tiepido luogo, infettando tutto e intanto confliggiamo fra di noi. Consideriamo il dolore degli altri e delle altre specie. E la disarmonia che quasi ovunque portiamo. Forse imparare dall’humus l’umiltà. Non è un inchino. È sentirsi terra sulla nobile terra impastati di lei. Di lei devoti ardenti innamorati. Dovremmo innamorarci, credo. Sì. Di ciò che è vivo intorno. E in primo luogo vederlo. Non esser concentrati solo su noi. Il meglio nostro di specie sta davanti, non nel passato. L’età dell’oro è un ricordo che viene dal futuro. Diventeremo cosa? È una grande avventura, di spirito, di carne, di pensiero, un’ascesa ci aspetta. Eravamo pelo musi e code. Diventeremo cosa? Diremo io o noi? E quanto grande il noi quanto popolato? Che delicata mano ci vuole ora, e che passo leggero, e mente acuta, pensiero spalancato al bene. Studiamo. Impariamo dal fiore, dall’albero piantato, da chi vola. Hanno una grazia che noi dimentichiamo. Cura d’ogni cosa, non solo dell’umano. Tutto ci tiene in vita. Tutto fa di noi quello che siamo.