Imprevisto: riparti dal via

Eccomi qui. Mi sembra come se nel pieno di una partita a “Monopoli” avessi preso la carta degli imprevisti che diceva “Riparti dal via”.

Quella carta l’ho presa un paio di settimane fa, e mi sono ritrovata a Civitanova Marche, da dove a diciannove anni avevo preso un treno diretto a Bologna, certa che qui non ci sarei più tornata a vivere. Nel frattempo ho cambiato città, sono andata a Roma, ho iniziato la mia carriera, fatta di tanti stop e accelerazioni insperate, mi sono innamorata, ho progettato una vita che poi ho buttato al vento, ho iniziato un’avvincente vita da single sempre in viaggio che sembrava un’avventura pazzesca, finché una Pandemia non mi ha “regalato” il famoso “anno sabbatico” che nel nostro Paese sembrava una lusso per pochi fortunati… e poi ho preso la carta degli imprevisti.

In realtà questa decisione la covavo da giugno scorso. Per la prima volta, però, ho potuto prendermi del tempo per ascoltarmi, ragionare, e non fare cose di impulso.

Sono tornata a casa, più precisamente nella casa dei miei nonni, a due passi da quella dei miei genitori, dove ho passato la mia infanzia e adolescenza. Eravamo la famosa famiglia allargata italiana, i miei cugini sono come fratelli e sorelle, eravamo sempre tutti insieme a festeggiare e a condividere gioie e dolori. Questa casa era il centro di tutto perché qui c’erano i miei nonni. Fino al 2006, quando mia nonna, ormai sola, si è trasferita a vivere i suoi ultimi anni in compagnia a casa dei miei genitori, soli anche loro dato che io e mia sorella eravamo partite.

Da allora questa casa è rimasta chiusa. Solo tre mesi l’anno viene vissuta da degli sconosciuti. Quando sono arrivata alcune amiche mi hanno chiesto se non avessi “paura” a stare qui da sola: ma come potrei aver paura di stare nella casa in cui sono cresciuta?!

Appena arrivata ho sistemato le mie cose, miscelandole con quelle dei miei nonni che non abbiamo mai avuto il coraggio di buttare. Mi godo il lusso di una casa luminosa, grande, tutta per me. Ho una stanza per lavorare, una per cucinare, una per leggere e ascoltare la musica, una camera per dormire e un’altra pronta per ospitare chi vorrà venire a trovarmi appena si potrà. E poi posso passare a salutare i miei genitori quando voglio.

1942, il viaggio di nozze a Venezia dei mie nonni

Non ho intenzione di vivere tutto questo con eccessiva nostalgia. Conservo lucidi i ricordi dei momenti belli ma anche di quelli tristi, abbiamo sempre affrontato tutto insieme e anche la morte l’ho vista in faccia da quando ero piccola. So bene che proprio nel passato si annida il seme di tanti sensi di colpa che ho poi sviluppato nel tempo. Ma credo che ormai a quarant’anni ho fatto pace con quel lato oscuro. Stare qui, essere tornata nella città dalla quale ero scappata, con un mio personale bagaglio di esperienze, mi fa sentire fiera del percorso fatto. E mi aiuta a ricordare quali erano i miei sogni da bambina, quali sono le mie radici, e i miei valori.

Ogni bicchiere, tazza, foto, accende un ricordo. Non sono un’amante del vintage, anche se la mia famiglia tende ad accumulare. Io oscillo tra il tenere le cose da parte per anni e poi buttarle di botto. Ma qui ammetto che sto usando anche le stoviglie con riverenza.

Anche il resto della mia famiglia sta tornando a parlare del passato. Questa casa c’è sempre stata, ma il mio tornarci a vivere sta facendo in qualche modo rivivere anche i ricordi che qui sono custoditi.

Ritrovo le radici del mio essere accudente. La semplicità con cui mi metto a cucinare, improvvisando, ma sempre con una base di ricette di famiglia. Mi piace avvolgermi nella coperta fatta da mia nonna. Mi diverto ad appendere le mie opere: dove c’erano Santi e Madonne ora ci sono le mie donne ricamate. La luce calda che accendeva nonno la sera. La sua poltrona che mi avvolge.

Sto cercando di ricordare quando abbiamo smesso di desiderare di avere una famiglia allargata, una casa grande.

Scrive il poeta Franco Arminio:

Tornate al vostro paese, non c’è luogo più vasto. Tornate presto, non pensate se è conveniente per la vostra vita. Cominciate la grande migrazione al contrario. Avete una casa vuota che vi aspetta, la casa che vostro nonno ha costruito coi soldi dell’emigrazione: voi qui potete accendere la vita, altrove al massimo potete tirare avanti solo la vostra vita. Tornate, non dovete fare altro. Qui se ne sono andati tutti, specialmente chi è rimasto.

Non so quanto resterò qui, ma già queste due settimane sono state intense.
La notte ho anche ripreso a sognare!
Chissà dove mi condurrà tutto questo….

Essere protagonista

Si, lo so, non scrivo spesso.
Ma questa volta ho una giustificazione: stavo progettando un cambio vita assai importante.

Martedì ho lasciato Roma.

Una decisione ragionata, sofferta. Forse per la prima volta mi sono messa in ascolto di me stessa e ho assecondato quella sensazione di sofferenza che mi attanagliava da troppo tempo, e ho agito.

Agire. Muoversi. Prendere delle decisioni.

Chiusi in casa, sembra che abbiamo perso il controllo della nostra vita, ma in questi mesi ho capito che non è proprio così: solo noi possiamo decidere se essere vittime o protagoniste delle situazioni.

Il mio animo inquieto mi ha riportata al nastro di partenza. E dopo 21 anni sono tornata a casa mia, nelle Marche.
Un furgone con quarantuno scatoloni, uno per ogni anno della mia vita. Scarpe, libri, vestiti… sogni. Vedere tutte insieme le proprie cose fa un certo effetto!

Avevo bisogno di un cambiamento e volevo avere il mare vicino. Dato che ho la fortuna di avere a disposizione la casa dei miei nonni tutta per me, ho lasciato con dolore la mia stanza romana, la mia vita, i miei amici e i miei gatti (ma di questo non parlerò perché riprenderei a piangere) e con un viaggio di quattro ore mi sono catapultata in una nuova città. Certo, qui ci sono nata, ma ormai mi sento straniera. E’ da qui che a diciannove anni ho preso un treno, diretta a Bologna, a sognare di lavorare in teatro. E l’ho fatto! Io ho fatto tutto (o quasi) quello che sognavo di fare. Questi mesi di pandemia mi hanno da una parte fiaccata, ma soprattutto mi hanno rimessa in ascolto dei miei desideri.

E ho capito una cosa importante: non siamo alberi. Ci possiamo muovere. Andare, tornare. La vita, la nostra vita, è mobile. Perché allora ci fissiamo e ci inchiodiamo in scelte e progetti che magari non ci assomigliano più?

Non credo nell’indeterminato, nel per sempre.

Credo nella cura, nella conferma quotidiana, nell’ascolto.

Ecco qui. Penelope ha cambiato città. Non so per quanto tempo. Sarà così finché ne avrò voglia.

La cosa su cui sto più riflettendo è un mal celato “senso di colpa“. Sono serena, e questo mi fa sentire in colpa. Non credo sia un’anomalia. Credo che ognuno di noi ha sentito questa sensazione quando ha preso una nuova strada, soprattutto se non accolta con entusiasmo da chi lo circonda. Accolgo anche questa nuova sensazione e vado avanti.

C’è chi fa della “resistenza” una qualità. Resistere fino alla morte. Inizio a pensare che non abbia un’accezione così positiva. Sto invece cercando di abituarmi ai “vuoti”. Al lasciare andare. Alle mancanze. Di persone accanto, di abbracci. Al vuoto di un lavoro che non c’è. E quel vuoto credo vada vissuto, attraversato. Non per forza riempito.

Torna in nostro aiuto Mariangela Gualtieri

Chiedo la forza del tirarsi indietro
la forza d’ogni rinunciante, la forza
d’ogni digiunante e vegliante
la forza somma del non fare
del non dire del non avere del non sapere.
La forza del non, è quella che chiedo.
Non non non: che parola splendida
questo non.

Più leggera sono pronta a dire “sì” e assecondare nuovi progetti. Appena ci saranno. Intanto studio e ricamo…