(Se domani) sono io

Allora ho aperto l’armadio. Quello grande, quello del corredo. Il mio corredo. Un numero spropositato di asciugamani, lenzuola ricamate, strofinacci. E ho tirato fuori una scatola che era del corredo di mia madre. La scatola dei pannolini di lino e cotone.
Ne ho preso uno. E il filo. Quello rosso.

In silenzio, avvolta nella coperta fatta a mano da mia nonna, ho ricamato.

In silenzio ho ripensato a quanto me lo sento addosso. Lo chiamano “patriarcato”. Io lo chiamo dolore.

Parole dette da uomini. Parole dette da donne.

A quei complimenti che ti devi prendere per forza, altrimenti sei snob. E “guarda quant’è ambiziosetta”. Silenzi infiniti, silenzi di punizione. Giornate nere che “è stanco, è nervoso, è preoccupato, è il lavoro”. “E’ colpa tua”. “Sei tu”. Alle scuse mai sentite. A quei gesti che “succede”. “Cambiati”. “Non vai bene vestita così”. “Lisciati quei capelli, anzi tagliali, anzi colorali, anzi…”. Alla bilancia. “Non ho tempo (per te)”. Alle attese, infinite. Alle corse per essere puntuali. Alle aspettative altrui. Al fare anche se sei stanca. Al “non fare l’esagerata, non ho fatto forte”. Al corredo per quando (non “se” non”se vorrai”) ti sposerai . Alle scelte fatte con una voce dentro che indica la strada stabilita. Alla dissonanza di vedere chi ami e che ti ama farti del male, a volte in modo impercettibile, a volte in modo violento, ma tu perdoni. Perchè tu sai amare. E di quel sapere amare ne fai un vanto.

A quel giorno che potevo essere io.

A quando ho iniziato ad amarmi io. E di questo sì che mi vanto tantissimo.

Allora ho ricamato parte della bellissima poesia di Cristina Torres-Cáceres.
Non la frase che tutte stanno condividendo. No. Sono partita prima.

Perchè prima di distruggere tutto c’è un combattere quotidiano che va fatto anche in silenzio. Partendo dalla nostra vita.
Prima silenziosamente, un passo alla volta. Poi raccontiamocelo come si fa, a voce alta.